Italia 2023
con Michele Riondino, Elio Germano, Vanessa Scalera, Domenico Fortunato, Gianni D'Addario, Pierfrancesco Nacca, Michele Sinisi, Fulvio Pepe, Marina Limosani, Eva Cela, Anna Ferruzzo, Paolo Pierobon
regia di Michele Riondino
Taranto, anni ‘90: l’operaio Caterino Lamanna viene incaricato da un dirigente dell’Ilva, Giancarlo Basile, di fare la spia su alcuni colleghi impegnati nelle lotte sindacali. Casualmente Caterino scopre l’esistenza di un settore della fabbrica, la Palazzina Laf, dove diversi impiegati trascorrono la giornata senza lavorare. Con la scusa di continuare il suo lavoro d’infiltrato Lamanna chiede a Basile di essere trasferito alla Palazzina scoprendo una realtà ben di versa da quella che s’immaginava ma nonostante questo continua la sua operazione di spionaggio…
Michele Riondino, tarantino di nascita e da sempre impegnato nella battaglia di riqualificazione della città non poteva che debuttare alla regia con un’opera inerente alla tematica che gli sta giustamente a cuore.
Sceglie però un argomento poco conosciuto, anche se quello della Palazzina Laf è stato il più grande caso di mobbing italiano: durante la gestione del gruppo Riva una settantina di impiegati vennero relegati nella palazzina perché rifiutavano di essere declassati ad operai: il rifiuto nasceva non tanto per motivi di prestigio ma perché sarebbero stati impiegati in lavori per cui era richiesta una preparazione specifica (ovviamente negata) per evitare incidenti.
Quello che a ingenui rozzi come Caterino poteva sembrare il bengodi, esser pagati per non far nulla, si rivela ben presto un inferno di noia e sopraffazione i cui danni sono stati acclarati dagli psichiatri durante il processo che si concluse nel 2006.
Quello che mi ha colpito nel film è la dimensione religiosa che accompagna l’evolversi della vicenda: il film si apre con il funerale di un morto sul lavoro nella Parrocchia Gesù Divino Lavoratore, con i titoli di testa che scorrono sui dettagli del grande mosaico dell’abside.
Il tentativo di fare avere una lettera di denuncia della condizione dei reclusi della palazzina al vescovo trova soluzione con un taglio hitchcockiano (la lettera che passa di mano) durante la cerimonia religiosa; la crisi di Lamanna è un incubo durante una processione del venerdì santo dove Caterino si identifica con il traditore per eccellenza, Giuda. Il sopralluogo del procuratore che avvia le indagini avviene poco dopo il canto di Symbolum 77 mentre un confinato distrugge profeticamente una parete.
Il ruolo che Riondino ha ritagliato per sé stesso è una figura negativa indagata in profondità: nonostante tocchi con mano la realtà drammatica della palazzina e sia conscio del proprio ruolo di Giuda, Lamanna non recede dal proprio compito: mette l’interesse personale sempre davanti a tutto anche la fama derivata dal processo non è vissuta come vergogna ma come opportunità di successo: magari mi chiamano al Maurizio Costanzo show! è una delle ultime battute del protagonista che finirà vittima dell’nquinamento, abbraccio mortale con cui l’acciaieria ha ripagato la città.
A chiudere questo bel film d’impegno civile, una meravigliosa canzone di Diodato, La mia terra.
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