Italia 1922
con Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Filippo Timi, Elena Lietti, Elisabetta Mazzullo
regia di Charlotte Vandermeersch, Felix van Groeningen
1984: l'affitto di una casa di vacanze a Grana, sperduto villaggio alpino, porta Pietro, dodicenne torinese a stringere amicizia con Bruno, l'unico ragazzino del paese. Bruno è affidato agli zii perchè orfano di madre e col padre sempre lontano per lavoro. visto il legame che si stringe tra i due bambini i Guasti si offrono di ospitare Bruno in città per farlo studiare ma il padre lo prende con sé a lavorare. Pietre e Bruno si perdono di vista e si ritrovano solo una quindicina di anni dopo quando muore il padre di Pietro. l'ingegnere aveva comprato un baita da ristrutturare e aveva offerto l'incarico a Bruno, per portarlo a termine il muratore chiede l'aiuto di Pietro che accetta. Pietro scopre che negli ultimi dieci anni in cui aveva interrotto il rapporto con padre, se n'era istaurato uno altrettanto importante tra Bruno e l'ingegnere. Mentre Bruno è deciso a riprendere la vecchia attività di famiglia, producendo formaggio di malga, Pietro non sa bene cosa fare della sua vita, insicuro delle sue capacità di scrittore. Dopo un viaggio in Nepal Pietro trova la sua strada mentre il fallimento dell'attività di Bruno porta l'uomo ad allontanarsi dalla famiglia e a isolarsi nella baita costruita con Pietro morendo nel gelo dell'inverno.
Tratto dall'omonimo romanzo di Paolo Cognetti, un film che avuto lo stesso successo del libro, premiato ai festival che al botteghino. Riconosco la potenza emotiva dell'opera che coinvolge lo spettatore ma penso che il film (non conosco il romanzo) abbia scelto la via più facile puntando più sul sentimentalismo che l'approfondimento dei personaggi.
Sulla bella amicizia infantile tra Pietro e Bruno pesa da subito l'ombra del padre di Pietro, padre premuroso ma con grosse aspettative nei confronti del figlio che non si sente all'altezza dell'impegno, anche fisico, che il padre richiede nella sua passione per l'alpinismo per cui è naturalmente dotato Bruno. L'idea di portare Bruno in città spaventa più Pietro del coetaneo, per la naturale quanto inconscia paura di perdere la stima e quindi l'affetto paterno nel confronto con l'amico più dotato e affine al genitore.
Sarebbe stato interessante vedere Bruno in città, una sorta di Heidi al maschile. Lo strappo cruento dalla montagna il ragazzo lo subisce ugualmente, ma da parte del padre naturale che appena tredicenne se lo porta in giro per l'Europa a fare il manovale. Di questa parte della vita di Bruno non sapremo mai nulla anche se la determinazione con cui Bruno ricerca il legame atavico con la vita montanara allude a esperienze traumatiche con un padre beone.
Ventenne, anche Pietro rompe definitivamente i legami con il padre: non vuole studiare all'università ma sperimentare la vita, non vuole diventare un vecchio senza amici come il padre. Pietro non avrà più notizie del padre fino alla sua morte, tornato nella casa di montagna scopre il mondo parallelo del padre: la sua passione per la montagna che lo ha legato così tanto al suo vecchio amico d'infanzia. Se l'amicizia tra Bruno e Pietro esce dal ricordo di un'amicizia infantile perduta durante la crescita è proprio per portare a termine il desiderio dell'ingegner Guasti; restaurare il vecchio rudere. La costruzione della casa (simbolico lampante) è il vero cemento che costruisce l'amicizia tra Pietro e Bruno che conservano le loro diversità: il primo insicuro e curioso che esplora il mondo per cercare la propria strada, il secondo così centrato sulla propria essenza montanara da arrivare a mettere in secondo piano anche la famiglia e trasformarsi a sua volta in un padre assente dopo il fallimento del caseificio.
La lettura, con beneficio d'inventario, che ho fatto del film è tutta in filigrana, l'approfondimento dei personaggi è blando, nonostante la scelta di girare in quattro terzi (non rispettata nella trasmissione televisiva) esaltata dalla critica proprio perché non lascia spazio alla bellezza da cartolina dello scenario alpino ma costringe(rebbe) lo spettatore a seguire le vicende dei personaggi analizzati da un punto di vista più emotivo: la cosa che funziona di più nel film è la tensione di disgrazia imminente che permea tutta l'opera la cui durata supera abbondantemente le due ore: il film quindi funziona, soprattutto per la costruzione del personaggio di Bruno, loser predestinato che segue il proprio destino fino alle estreme conseguenze, un'archetipo sia letterario ma soprattutto cinematografico.
Ottima la prova dei due protagonisti che ritornano a lavorare insieme a sette anni dal film che li ha lanciati Non essere cattivo in due ruoli che invertono la traiettoria dei precedenti: la disperata inquietudine del borgataro Cesare è speculare alla disperazione quieta e determinata di Bruno e porta agli stessi esiti.
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