USA 1950, Universal
con James Stewart, Josephine Hull, Peggy Dow, Charles Drake, Cecil Kellaway, Victoria Horne, Jesse White, William H. Lynn, Grayce Mills, Wallace Ford, Clem Bevans, Nana Bryant
regia di Henry Koster
La vedova Veta Louise Simmons si è trasferita con la figlia zitella Myrtle Mae a casa del fratello Elwood P. Dowd, amabile signore di mezz'età che ha come migliore amico Harvey, un invisibile coniglio bianco alto un metro e ottanta. La signora Simmons sopporta la stranezza del fratello fino a quando Elwood non mette in fuga le signore della buona società presentando il suo amico invisibile. Veda decide di far internare il fratello in una clinica ma viene scambiata per pazza e internata al posto del congiunto dal solerte dottor Sanderson. Per evitare che la donna faccia causa alla clinica, il titolare, il dottor Chumley, si mette sulle tracce di Elwood e rimane molto affascinato dalla figura di Harvey che si rivela essere un pooka, uno spirito della mitologia celtica. Mentre il dottor Chumley finisce per credere all'esistenza di Harvey e chiede a Elwood di lasciarglielo, l'uomo, per compiacere la sorella, è disposto ad accettare una drastica cura che lo riporterà alla realtà ma alla fine Veta preferisce che Elwood resti quello che è e anche Harvey preferisce rimanere con lui piuttosto che col dottor Chumley.
Tratto dalla pièce omonima di Mary Chase che le valse il premio Premio Pulitzer per la drammaturgia, nel 1945, Harvey è una bizzarra commedia fantastica che ripropone gli stilemi assurdi delle commedie slapstick anni '30 per cui in alcuni passaggi potrebbe sembrare fuori tempo massimo, ma la progressiva naturalità con cui viene accettata la presenza del coniglio invisibile anticipa le stranezze a cui ci hanno abituato le commedie indie del XXI secolo e pare che da Harvey discenda l'inquietante coniglio di Donnie Darko per la capacità del pooka di viaggiare nel tempo.
Oltre la piacevolezza della pellicola che è rimasta inalterata nel tempo, Harvey si presenta quindi come un interessante trait d'union tra cinema classico e cinema contemporaneo dove sotto le battute svagate pulsano le nevrosi dell'America post bellica: Elwood è un uomo di buona famiglia, destinato a un sicuro successo ma non si è sposato né ha avuto una carriera, nessun avvenimento particolare sembra aver ostacolato la sua vita eppure è chiaro che Elwood ha un grosso problema di alcolismo, e la sua solitudine e il suo senso di inadeguatezza emergono sempre più dai suoi dialoghi.
James Stewart aveva già interpretato il personaggio a teatro con grande successo ma sul grande schermo Elwood non avrebbe potuto essere che lui, anche per un certa rivisitazione acida del suo più grande successo, La vita è meravigliosa di Frank Capra dove la bontà d'animo del protagonista viene ripagata dalla riconoscenza spontanea dei concittadini, in Harvey l'amabilità, financo eccessiva, del protagonista è una difesa dal mondo, la madre di Elwood gli diceva sempre che nella vita bisogna essere o molto astuti o molto amabili, e il protagonista confessa di aver ripiegato sull'amabilità anche se avrebbe preferito l'astuzia: ma quale astuzia più grande di quella di essere sempre amabili? Ci si fa perdonare anche la pazzia...
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