I Want to Live!
USA 1958 MGM
con Susan Hayward, Simon Oakland, Virginia Vincent, Theodore Bikel, Wesley Lau, Philip Coolidge, Lou Krugman, James Philbrook, Gage Clarke, Joe De Santis, John Marley
regia di Robert Wise
Barbara Graham, una "party girl" di facili costumi con diversi reati minori alle spalle sembra sistemarsi quando sposa un barista e ha un figlio ma il marito è tossicodipendente e il matrimonio finisce malamente. Barbara torna alla vita di prima e finisce invischiata in una brutta storia di una rapina ai danni di un'anziana signora che ha portato alla morte di quest'ultima: gli altri due indagati asseriscono che anche la Graham ha partecipato all'omicidio mentre la donna si dichiara totalmente estranea ai fatti. La mancanza di un alibi ma soprattutto il suo atteggiamento spavaldo che ha attirato su di lei l'attenzione dei media, la fanno condannare a morte. L'avvocato Matthews chiede il parere del criminologo Carl Palmberg che ritiene la donna incapace di atti di violenza estrema ed espone altri fatti che convincono anche il giornalista Edward Montgomery, uno dei primi ad aver demonizzato Barbara, dell'innocenza della donna ma il ricorso in appello viene rifiutato e dopo diversi ricorsi Barbara finisce nella camera a gas.
Non voglio morire si conferma ancora oggi tra i film più toccanti contro la pena di morte sorretto dalla grande prova attoriale di Susan Hayward che per questo film vinse l'unico oscar della sua carriera e dall'ottima regia di Robert Wise che costruisce un robusto dramma a tesi ispirato alla vicenda reale di Barbara Eleine Wood Graham finita nella camera a gas nel 1955 a soli 31 anni, come reale è la figura del giornalista premio Pulitzer Edward Montgomery che prima costruisce la figura della rossa ferina e poi diventa uno dei più grandi assertori della sua innocenza. Forse proprio la mancata analisi del cambio di bandiera di Montgomery è l'anello debole del film, più che aver reso la figura della Graham chiaramente innocente mentre pare che ci fossero pesanti prove a suo carico.
In ogni caso la vicenda è uno spunto per sottolineare gli aspetti terribili della pena di morte: il film parte con inquadrature sghembe con un'importante colonna sonora jazz, un bianco e nero molto contrastato che ben rendono la vita ai margini della protagonista, molto interessante anche il segmento del processo con le confessioni estorte a una Barbara particolarmente ingenua ma è quando entra in scena la camera a gas che il film raggiunge il suo apice: se fino a quel momento il film aveva mescolato ricostruzioni in studio e scene in presa diretta, dalla comparsa della camera a gas tutto diventa palesemente artefatto perché l'indicibile resta tale anche davanti alla macchina da presa e Wise, grande regista anche di sci-fi sembra fare riferimento a quel genere cinematografico nei dettagli della preparazione del marchingegno mortale, non manca l'ironia dei numerosi cartelli che invitano i detenuti del braccio della morte a condurre una vita sana, prestare attenzione all'igiene e a non fumare ma è la ricostruzione dei continui rimandi dell'esecuzione, l'assicurarsi che la linea per la grazia all'ultimo minuto sia libera, che sono strazianti per le false speranze che regalano al condannato a cui però non viene risparmiato l'ultima onta della morte pubblica davanti a giornalisti e testimoni tanto che anche la spavalda Barbara chiede di essere bendata per non vedere ancora quel pubblico invadente che ha fatto scempio della sua vita.
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