Italia 2021
con Claudio Santamaria, Aurora Giovinazzo, Pietro Castellitto, Giancarlo Martini, Giorgio Tirabassi, Max Mazzotta, Franz Rogowski, Anna Tenta, Sebastian Hülk, Francesca Anna Bellucci, Astrid Meloni
regia di Andrea Mainetti
La guerra, soprattutto dopo l'Armistizio, rende la vita difficile anche ai circensi così Israel che dirige il circo Mezzapiotta propone ai suoi artisti di trasferirsi in America, con poco entusiasmo degli stessi, tanto che quando Israel scompare con i loro risparmi pensano di esser stati fregati. Solo Matilda vuole cercare Israel mentre i suoi tre compagni sono attirati dal Berlin Circus organizzato da un gerarca nazista, abilissimo pianista a sei dita, che in realtà cerca freaks dai super poteri per poter rovesciare i destini di sconfitta della Germania che conosce dalle sue visioni lisergiche. Mentre Cencio, Fulvio e Mario finiscono torturati da Franz, Matilda incontra i partigiani del Gobbo e scopre che Israel è stato caricato su un treno verso i campi di concentramento. La ragazza cerca i suoi vecchi sodali salvandoli dalle torture di Franz per cercare di liberare Israel, ma Franz si mette sulle loro tracce perché la ragazza elettrica è proprio l'elemento che gli permetterà di ribaltare le sorti della guerra...
Fortunati quelli che hanno visto il film in sala, prima dello scoppio di questa orrenda guerra che getta la sua ombra cupa anche sul cinema e ti fa pensare a una probabile regressione da film ironici sul tema nazista come questo o Bastardi senza gloria ma evitiamo le considerazioni sul film alla luce della guerra e cerchiamo di concentrarci sull'opera seconda di Mainetti: se l'opera seconda è sempre quella più complicata, soprattutto se si arriva da un esordio fulminante come quello di Lo chiamavano Jeeg Robot, Freaks out ha indubbiamente il merito di chiarirci l'idea autoriale del regista che è indubbiamente postmoderna e gli permette di realizzare film in cui coniuga mondi e riferimenti diversissimi tra loro riuscendo a renderli credibili: i disegni, le allucinazioni e soprattutto il tavolo di Franz dove spicca lo spremi agrumi futuribile di Alessi, lo Juicy Salif rendono perfettamente il mondo cinematografico dell'autore che tiene insieme suggestioni chapliniane, tarantiniane e neorealiste in una reinvenzione spaghetti comics degli Xman, e si ferma un attimo prima di citare La Signora di Shanghai di Welles; la conoscenza cinematografica dell'autore è davvero notevole e soprattutto non è mero esercizio stilistico ma come nell'opera precedente Mainetti rivela una profonda sensibilità nei confronti dei suoi personaggi con vilain memorabili a cui in fondo si vuole anche un po' bene (debbo però confessare che per me Lo zingaro resta inarrivabile).
C'è una grande attenzione al mondo femminile, in questo caso Matilde non è più comprimaria come l'Alessia di Jeeg Robot maè l'eroina che deve scoprire la propria forza come il protagonista del primo film. La ragazza elettrica di Freaks out che ha ucciso involontariamente la madre e ha vissuto tutta la sua vita senza contatti con gli altri per paura di ripetere il terribile incidente, mette in gioco tutta sé stessa per salvare Israel, sostituto della figura paterna e finalmente accetta la propria natura supereroica.
Morale e finale "bombarolo" riprendono le tematiche di Lo chiamavano Jeeg Robot ampliati dall'ambientazione nell'Italia post Armistizio del 1943 di cui il regista offre una buona ricostruzione storica nel rastrellamento del Ghetto di Roma e nella figura del Gobbo, figura storica della resistenza romana e offrirebbe molti spunti di riflessione sulla situazione odierna il fatto che proprio la figura storica, per quanto esasperata, sia stata la più controversa del film...
Un difetto però lo devo stigmatizzare, anche perché lo avevo già notato ne La fiera delle illusioni: l'uso massivo degli effetti speciali rende la fotografia molto azzurrata e mi ricorda tanto le serie Netflix: so che de La fiera delle illusioni uscirà una versione in bianco e nero, forse per i film ambientati negli anni '30 e '40 sarebbe il caso di tornare al B/N per uscire da una certa omologazione visiva, senza troppo timore di spaventare lo spettatore da blockbuster.
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