Italia, 2021
con Toni Servillo, Maria Nazionale, Cristiana Dell'Anna, Antonia Truppo, Paolo Pierobon, Eduardo Scarpetta, Lino Musella, Roberto De Francesco, Gianfelice Imparato, Giovanni Mauriello, Iaia Forte, Roberto Caccioppoli, Chiara Baffi, Alessandro Manna, Lucrezia Guidone, Elena Ghiaurov, Gigio Morra
regia di Mario Martone
All'apice della fama del suo personaggio, Felice Scioscammocca, il capocomico Eduardo Scarpetta decide di fare una parodia de La figlia di Iorio di D'Annunzio ma l'opera non ha successo e, nonostante l'ambiguo placet del Vate, Scarpetta viene denunciato per plagio. I guai giudiziari si mischiano alle vicende di casa Scarpetta, agli innumerevoli figli, soprattutto illegittimi, del commediografo che ravvisa nell'attacco degli intellettuali che sostengono D'Annunzio, l'approssimarsi della fine della sua parabola artistica.
Come ho detto spesso non amo i biopic ma l'eccezione va fatta per Mario Martone che nei suoi film riesce sempre a costruire perfetti affreschi d'epoca, oltre che fa rivivere il personaggio storico e Qui rido io conferma magistralmente questo talento del regista napoletano.
Il film si apre con immagini di repertorio della Belle Époque napoletana per poi spostarsi a teatro e mostrarci la scena più famosa di Miseria e Nobiltà l'avvicinamento al desco dei quattro affamati e la pastasciutta mangiata con le mani che tutti conosciamo dalla trasposizione cinematografica con Totò, a sottolineare il peso nella cultura popolare della figura un po' dimenticata di Scarpetta: se è noto che l'attore fosse il padre illegittimo dei fratelli De Filippo, credo che l'episodio di presunto plagio dell'opera di D'Annunzio fosse sconosciuta ai più, sottoscritta compresa, nonostante fossero coinvolti i nomi più importanti della cultura italiana da Salvatore Di Giacomo a Benedetto Croce, non mi pare di ricordare che l'episodio sia citato nei testi di letteratura italiana.
L'abilità di Martone sta nel cogliere un punto che si presta a innumerevoli letture: una considerazione sul diritto d'autore, nato proprio da questo processo e una riflessione sulla satira versus il dramma, la cultura alta (il secondo) verso la cultura bassa, la commedia da sempre accusata di blandire il potere con la sua leggerezza smorzando ogni critica in una risata.
Una riflessione che coinvolgeva tutta l'intellighentia italiana, abbiamo già visto i nomi dei contendenti: Di Giacomo a capo della claque che fa fallire lo spettacolo satirico di Scarpetta a difesa di D'Annunzio e Benedetto Croce che si schiera con il diritto di satira anche se la sua arringa è piuttosto mortificante verso l'arte del capocomico.
Tutto ciò dimostra la vitalità creativa della Napoli d'inizio '900 sottolineata anche dalla colonna sonora composta solo da canzoni della grande scuola napoletana: il braccio destro di Di Giacomo è Ernesto Murolo, padre di Roberto Murolo. Il regista ci mostra la città partenopea in tutta la sua bellezza, dai vicoli alle ville sulle mare ispirandosi anche alla tradizione pittorica napoletana ottocentesca per costruire molte scene, sia d'interni che esterne.
Al centro di tutto c'è un uomo, un grande artista, Eduardo Scarpetta, un personaggio bigger than life in grado dicreare di una maschera, Felice Scioscammocca, che è stata in grado di uccidere Pulcinella, e nelle vesti della superata maschera il drammaturgo si rivedrà nel momento onirico del film, quando comprende di essere a sua volta superato dall'evolversi dell'arte, compreso il nascente cinematografo.
Scarpetta è un tirannico capocomico, l'emblema dello spirito patriarcale: sotto il suo tetto e nel suo teatro convivono tutti i suoi figli legittimi e non, l'unico accordo con la moglie, di cui aveva riconosciuto il figlio avuto dal re Vittorio Emanuele II, è che l'eredità vada tutta ia figli legittimi, gli altri si limitano a chiamarlo zio anche se tutti hanno iniziato a calcare il palcoscenico nel ruolo di Peppeniello con la celeberrima battuta "Vincenzo m’è pate a me!". L'attenzione di Martone non può che essere per i tre De Filippo e il loro sguardo infantile sulla bizzarra situazione famigliare fatta di non detti: l'occhio attento di Eduardo, la rabbia di Peppino cresciuto per anni in campagna che con molta fatica si adegua alla nuova vita di città.
Tutto il film gira attorno al concetto di paternità, a quella artistica ambita da Scarpetta nei confronti del Vate e quella naturale di cui l'artista sorvola gli aspetti legali pur occupandosi della sua grande famiglia rendendola un tutt'uno con il suo teatro.
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