Zero de conduite
Francia, 1933
con Jean Dasté, Robert Le Flon, du Verron, Delphin, Louis Lefebvre, Gilbert Pruchon, Coco Goldstein, Gérard de Bédarieux, Léon Larive
regia di Jean Vigo
Finite le vacanze estive i ragazzi del collegio si apprestano a farvi ritorno, il viaggio in treno di due compagni è l'ultimo sfogo di fantasie infantili prima di tornare sotto il giogo severo degli insegnanti anche se al corpo docenti si unisce Huguet che con le sue stranezze incuriosisce i collegiali. Mentre Caussat, Colin e Briel si riconfermano i peggiori della classe e sin dai primi giorni ricevono uno zero in condotta, mentre il timido ed effeminato Tabart suscita le attenzioni di un professore ma la forza del ragazzo nel ribellarsi lo fa accettare nel gruppo e sarà proprio la reazione di Tabart al viscido professore a scatenare la ribellione degli scolari nel giorno in cui la scuola riceve delle autorità che vengono presi di mira dai ragazzi prima di darsi alla fuga sui tetti.
Ispirato all'esperienze autobiografiche del regista che, orfano del padre anarchico, trascorse l'infanzia in collegio.
La forza eversiva della pellicola che contrappone il mondo dell'infanzia a quello omologato e gerarchico degli adulti, attirò le attenzioni della censura che lo fece sparire per sentimenti antipatriottici e il film tornò ad essere distribuito solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1945.
La sequenza iniziale del treno racchiude il mondo dell'infanzia: i giochi e i racconti dell'estate, le collezioni di oggetti improbabili, le sigarette e la voglia di atteggiarsi già da grandi. Già in questo primo segmento il regista mette in mostra tutta la sua abilità registica cogliendo i ragazzini nello scompartimento da angolazioni diverse, giocando con gli specchi del vagone: le distorsioni sono spesso presenti per dare la dimensione del fantastico dell'infanzia ma anche per sottolineare la stortura dell'autorità.
Arrivati in stazione, col buio ad attenderli c'è uno degli insegnanti del collegio, impettito e severo il mondo anarchico e fantastico della fanciullezza si scontra con quello severo delle norme che dovranno fare degli scavezzacollo degli onesti cittadini. Tabart, arrivato anche lui in stazione con la madre, non regge l'impatto con il duro assaggio dei mesi che lo aspettano e passa l'ultima notte con la madre che lo ha accompagnato.
Fin dalla prima notte nell'istituto si manifesta la fatica dell'adattamento dei ragazzi alle severe (e spesso stupide) leggi dell'ordine sociale che per nonnulla sfocia in una punizione.
L'aspetto ridicolo dei professori rivela anche la loro bassezza: chi ruba la marmellata dei ragazzi, chi tenta di sedurli. La presa in giro delle figure autoriali culmina nella figura del direttore interpretato dal nano Delphin, i suoi tratti infantili e il barbone posticcio lasciano trasparire l'immagine del ragazzo che anche il direttore è stato, anche se ora guida tronfio il collegio con la sua vocetta acuta.
Un'altra stigmatizzazione dei danni dell'ordine borghese è rappresentata nel comitato ministeriale in visita alla scuola: i personaggi in seconda fila sono palesemente delle marionette, quello a cui l'organizzazione scolastica dovrebbe ridurre i ragazzini omologandone sogni e bisogni.
Vigo utilizza tutti i mezzi della settima arte per raccontare la sua elegia alla libertà infantile, persino i cartoni animati, infatti gli appunti del professor Huguet si animano a simboleggiare la capacità del maestro di interagire con gli alunni mettendosi al loro livello. Vigo paga il tributo alla sua ammirazione per Chaplin facendo fare al professore l'imitazione di Charlot. Significativa anche la scena della passeggiata che si trasforma nell'inseguimento di una bella ragazza: la vita, in ogni suo aspetto, è fuori dalle mura austere del collegio anche se il genio del regista e la fantasia infantile sa trasformare una battaglia di cuscini in una poetica nevicata.
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