Italia 2020
con Sergio Castellitto, Francesco Patanè, Tommaso Ragno, Fausto Russo Alesi, Massimiliano Rossi, Clotilde Courau, Elena Bucci, Lidiya Liberman, Janina Rudenska, Lino Musella
regia di Gianluca Jodice
1936 il giovane federale di Brescia, Giovanni Comini viene incaricato da Starace in persona di controllare Gabriele D'annunzio. Il vecchio Vate, ormai recluso nel Vittoriale tra seguaci e spie, è sempre più distante dalla politica mussoliniana, soprattutto per quanto riguarda l'avvicinamento a Hitler. La vicinanza con il poeta e alcune vicissitudini personali porteranno il "federalino" a guardare con occhi critici al fascismo.
Lopera prima di Gianluca Jodice è interessante perché sfugge ad alcuni clichè il primo è quello del giovane ingenuo affascinato da un adulto di grande personalità un po' alla Profumo di donna per intenderci. Il rapporto con D'annunzio segnerà sì il giovane Comini, personaggio realmente esistito ricoprente la carica politica del film, che finirà espulso dal partito fascista per aver solo riportato l'esistenza di posizioni contrarie alla guerra.
Anche le parole pronunciate nel film dal vate sono tutte originale, estrapolate da scritti o discorsi di D'Annunzio.
Invece di mettere in scena la fascinazione di un grande personaggio su un giovane ed entusiasta politico, il regista ci racconta due percorsi paralleli ma opposti: un poeta ormai stanco, vittima di ossessioni e paranoie dovuto all'uso di stupefacenti ma ancora in grado di leggere con chiarezza il destino dell'Italia se si lega al Fuhrer, definito "piccolo nibelungo che gesticola come Charlot", di contro un giovane brillante, che però non sembra accorgersi degli orrori del fascismo fino a che non li tocca con mano: i genitori disposti a denunciare un caro amico per aver detto alcune frasi contro Mussolini forse da ubriaco, il suicidio della donna amata, sorella di un antifascista torturato e incarcerato dalle camice nere. Che Comini sia alle prese con situazioni più grandi di lui, che non sa gestire, lo testimonia la sua fuga dal luogo del suicidio di Lina.
Ancora una volta bisogna elogiare la prova di Castellitto nei panni del poeta, l'attore è in grado di renderne tutte le fragilità, le idiosincrasie a cui fanno da contraltare gli sprazzi di grande lucidità non solo sulla situazione politica dell'Italia ma anche sulla propria condizione di personaggio scomodo, esiliato nel Vittoriale, ma ancora in grado di giocare con la propria fama di grande erotomane (raccontagli quella del pavone, dice a Comini tra orgoglio e ironia).
Se il regista non insiste nel mostrare le storture fasciste ma lascia che il protagonista e lo spettatore ne prendano lentamente coscienza, l'autore non si fa problemi a raccontare e a mostrare la morte di D'Annunzio come un omicidio di stato, l'ennesima eliminazione di una voce scomoda per il potere.
La prigione dorata, il Vittoriale, è protagonista del film assieme al suo recluso: la dimora del Vate è stato lo scenario di molte riprese, soprattutto gli esterni con la nave Puglia interrata. La fotografia, di Daniele Ciprì, esalta la bellezza naturale del Garda mentre il mondo esterno, i grandi palazzi del potere come le umili case dei cittadini hanno un tono cupo che ben sottolinea l'atmosfera drammatica della nazione sull'orlo dell'abisso della guerra.
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