USA 2020, Warner Bros
con Gal Gadot, Kristen Wiig, Pedro Pascal, Chris Pine, Connie Nielsen, Robin Wright, Gabriella Wilde, Kristoffer Polaha, Ravi Patel
regia di Patty Jenkins
L'amazzone millenaria Diana Prince nel 1984 nasconde la sua attività di eroina dietro i panni di un'esperta d'arte per la Smithsonian Institution di Washington, fa amicizia con una nuova assunta, Barbara Minerva e insieme indagano su un manufatto ritrovato in una gioielleria che riciclava oggetti d'arti rubati il cui tentativo di furto era stato sventato dalla stessa Wonder Woman. Come testimonia la scritta latina, la pietra ha il potere di realizzare di desideri di chi la tocca, Diana richiama in vita Steve, l'amato pilota della prima guerra mondiale, Barbara vuole diventare affascinante come Diana e Max Lord, un imbonitore televisivo fallito a conoscenza dei poteri del manufatto diventa la pietra stessa per nutrirsi dell'energia di tutti coloro di cui realizza i desideri. Ben presto il mondo è sull'orlo della catastrofe, del resto la pietra ha segnato la fine di tutte le civiltà con cui è venuta in contatto. Rinunciando per prima al suo sogno d'amore Diana riesce a convincere il mondo a rinunciare ai propri desideri...
Il film si apre su un'episodio dell'infanzia di Diana quando la zia Antiope la priva della vittoria perché la ragazzina ha usato una scorciatoia: non si può essere eroi con l'inganno.
Anche la facilità con cui la pietra realizza i desideri porta solo scompiglio perché non c'è impegno e fatica e (guarda caso) tutti i desideri espressi hanno un fondo egoisitico persino quello involontario di Diana.
La morale del film si sposa anche bene ai gaudenti anni '80 dove l'importante è la ricerca del proprio piacere senza curarsi delle conseguenze, peccato che il lunghissimo film (oltre 150 minuti) esasperi il concetto nella chiusa in un trionfo di melensa retorica.
Non ho visto il primo film ma di certo l'eroina non è molto simpatica in questa pellicola, altera e distaccata, solitaria e dedicata al culto del grande amore perso quasi 70 anni prima, non riesce a realizzare nemmeno una coppia romantica destinata sempre al sacrificio, difficile sviluppare un personaggio romantico con un protagonista maschile che per metà del film è stupito delle innovazioni tecnologiche scambiando una cyclette per una bici normale, e indossando tutti i look più assurdi del tempo.
Anche il potenziale del vilain si perde nella redenzione finale, più centrato il personaggio dell'antagonista di Wonder Woman, la sfigata dottoressa Minerva che non rinuncia fino all'ultimo alla prospettiva di essere ammirata e forte come Diana, anche se il desiderio avverato la sta inaridendo e la sta trasformando in Cheetah, donna ghepardo. Nel personaggio di Barbara Minerva vedo l'unica critica femminista del film: quanto costa a livello emotivo, per una donna, adattarsi agli standard richiesti dal mondo odierno!
Oltre alla bella scena iniziale della gara tra amazzoni, resta la puntuale ricostruzione d'epoca degli anni '80 anche Alistair, il figlio sino americano di Lord, riprende il modello del simpatico bambino orientale che compariva in molte pellicole, si cita poi una battuta di un classico della filmografia degli anni '80 che tutti abbiamo detto almeno una volta, quel “un caffè.. tè.. me” di Una donna in carriera che però era del 1988.
Della scena post credit è protagonista niente meno che Lynda Carter, la Wonder Woman televisiva che si rivela essere Asteria la mitica amazzone a cui erano dedicati i giochi che hanno aperto il film e la cui armatura d'oro è fondamentale per la novella Diana Prince per salvare il mondo: cosa ci riserverà il terzo film che dovrebbe essere ambientato in epoca contemporanea?
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