Der Himmel über Berlin
Germania 1987
con Bruno Ganz, Solveig Dommartin, Otto Sander, Curt Bois, Peter Falk, Bernard Eisenschitz, Teresa Harder, Hans Martin Stier, Elmar Wilms, Sigurd Rachman, Beatrice Manowski, Daniela Nasimcova, Bruno Rosaz, Scott Kirby
regia di Wim Wenders
Dalla notte dei tempi gli angeli vegliano sulla Terra, in particolare Damiel e Cassiel si aggirano su quella che è poi diventata la città di Berlino ascoltando i pensieri dell'umanità e cercando di consolarla. A Damiel inizia a pesare l'immaterialità e vorrebbe provare quello che tormenta, ma tiene vivi gli uomini, affascinato dalla bella ma solitaria trapezista Marion, troverà il coraggio di incarnarsi dopo l'incontro con il famoso attore Peter Falk che gli rivela di essere stato a sua volta un angelo.
Di ritorno da una lunga parentesi americana, il regista tedesco gira questa favola metafisica ispirata alle poesie di Rainer Maria Rilke.
L'indiscusso talento per rendere l'anima delle città di Wim Wenders, esalta la dualità di Berlino, la città divisa in due dal Muro anche negli anni bui della guerra fredda si conferma capitale di cultura come conferma la biblioteca di Stato, dove i pensieri degli uomini si trasformano in un canto celestiale che fa da contraltare alla musica rock degli scantinati di Nick Cave.
Ancora devastata dalla Seconda Guerra mondiale, le cui ferite vivono nella geografia della città (la ricerca di Potsdamer Platz da parte del vecchio poeta) sia nella memoria (le immagini di repertorio) Berlino è il luogo ideale per mettere in scena la dualità tra angeli e umani gli affanni anche insensati dei secondi di fronte alla partecipazione distaccata dei primi, che in fondo così distaccati non sono se Damiel s'innamora di una donna e Cassiel resta profondamente turbato dal fatto di non esser riuscito a salvare un giovane suicida con il suo tocco pacificatore; forse alla fine della Berlino divisa dal muro che sarebbe caduto due anni dopo l'uscita del film, corrisponde anche una stanchezza degli angeli di rimanere solo osservatori distaccati e vince la voglia di partecipare alla vita, come già fatto dall'attore Peter Falk e tanti altri prima di lui.
Che a un sereno distacco sia preferibile l'odore, o meglio il sapore del sangue -prima esperienza umana di Damiel- forse è anche la risposta al quesito del vecchio poeta Homer, che vorrebbe scrivere un'elegia della Pace e si chiede cosa ci sia di così poco attraente in essa da portare gli uomini a stancarsene subito.
La dualità si riflette anche nella fotografia: il fascinoso sepia del mondo visto dagli angeli contrapposto al mondo a colori dell'essere umano: seconda cosa compiuta dal Damiel incarnato è farsi dire il nome dei colori.
La prima parte pervasa dal dolore della città, in un bianco e nero sepiato che rimanda a molti classici del cinema fantastico, e non solo, è sicuramente un capolavoro, la seconda a colori è inferiore per la perdita di magia non tanto fotografica, ma perché tutto è finalizzato all'incontro di Damiel e Marion.
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