Werewolf of London
USA 1935 Universal
con Henry Hull, Warner Oland, Valerie Hobson, Lester Matthews, Lawrence Grant, Spring Byington, Clark Williams, J.M. Kerrigan, Charlotte Granville, Ethel Griffies, Zeffie Tilbury
regia di Stuart Walker
Il botanico Wilfred Glendon è in Tibet per cercare un fiore che cresce con il favore della luna. La pianta si trova in una valle isolata dove le guide non lo vogliono accompagnare e anche un missionario sconsiglia di proseguire il viaggio. Glendon insiste nel raggiungere la vallata e trova il fiore ma viene ferito da una mostruosa creatura. Tornato a Londra lo scienziato trascura la giovane moglie per dedicarsi agli studi della Mariphasa lupina lumina, in una delle poche occasioni sociali organizzate dalla moglie incontra il dottor Yogami interessato alla Mariphasa in quanto unica cura per la licantropia. Inoltre Yogami rivela a Glendon di averlo già a conosciuto e che a Londra ci sono attualmente due lupi mannari. Glendon intuisce che l'essere che lo ha aggredito in Tibet era Yogami in versione licantropa. Alla prima luna piena Yogami ruba i fiori della pianta mentre Glendon senza antidoto si trasforma in lupo mannaro seminando il terrore in città. Quando Yogami tenta nuovamente di rubare la mariphasa, Glendon lo uccide poi volge i suoi istinti belluini sulla moglie che si è avvicinata a un vecchio spasimante...
Il segreto del Tibet non è il primo film di licantropi in assoluto ma è il primo film che la Universal dedica al lupo mannaro, data la poca qualità dell'opera il film viene spesso dimenticato in favore del seguente film del 1941 che ha per protagonista Lon Chaney Jr.
Cause dell'insuccesso furono la scelta del protagonista, l'attore Henry Hull che rifiutò il pesante trucco pensato da Jack Pierce e riproposto poi da L'uomo lupo.
Pesò anche l'uscita quasi in contemporanea con La moglie di Frankenstein attesissimo sequel di successo.
Costruito come gli horror dell'epoca, Il segreto del Tibet non riesce molto a mischiare l'elemento comico della la zia petulante e le vecchie ubriacone con la trama drammatica che forse è quella più debole. Il confronto tra i due licantropi, entrambi “mad doctor” che si sono infettati in nome della scienza, poteva essere interessante invece si limita alla battaglia per procurarsi il fiore di mariphasa, antidoto alla trasformazione senza approfondire le personalità dei due personaggi.
Più che il cotè horror resta interessante quello fantascientifico: il macchinario che crea il raggio lunare per far fiorire la mariphasa anche fuori dal Tibet e soprattutto il marchingegno che permette a Glendon di vedere su uno schermo chi si avvicina al suo laboratorio: un'anticipazione del videocitofono.
Buono, anche se privo di particolari slanci, l'uso delle luci, delle ombre espressioniste e una grande attenzione per le immagini riflesse, simbolo per eccellenza del doppio.
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