Italia 1953
con Lucia Bosé, Gino Cervi, Andrea Checchi, Ivan Desny, Alain Cuny, Monica Clay, Oscar Andriani, Anna Carena, Enrico Glori, Laura Tiberti, Gisella Sofio, Xenia Valderi, Elio Steiner, Luisa Rivelli, Nino Dal Fabbro, Nuri Neva Sangro, Mario Meniconi, Renato Navarrini, Rita Mara, Vittorio Manfrino, Lyla Rocco, Gino Rossi, Emma Druetti, Rita Giannuzzi
regia di Michelangelo Antonioni
L'attrice esordiente Clara Manni, grazie alla sua bellezza, sembra destinata a una brillante carriera almeno nei film commerciali ma il matrimonio, altrettanto rapido con il produttore che l'ha scoperta mette un freno alla sua carriera: il marito vuole che interpreti ruoli più strutturati e dirige in prima persona una versione di Giovanna d'Arco che si rivela un flop. Delusa dalla carriera e dal matrimonio, Clara si lascia sedurre da un giovane diplomatico e dopo aver aiutato il marito a ripianare la situazione finanziaria decide di rifarsi una vita con Nardo ma l'uomo le fa capire che per lui si è trattata solo di un'avventura. Disperata Clara si confida con un attore che la invita a impegnarsi seriamente nello studio dell'arte drammatica. Clara tenta e dopo qualche mese si ripropone a Cinecittà ma capisce che la sua carriera si basa solo sulla bellezza e non sul talento rassegnandosi a tornare ai film salaci e tra le braccia dell'amante che l'ha ricontattata.
Se Bellissima di Visconti narrava la delusione del sogno cinematografico, come Lo Sceicco bianco di Fellini, La signora senza camelie, uscito poco dopo e sempre con il contributo di Suso Cecchi d'Amico alla sceneggiatura, narra la delusione di chi a quel mondo è arrivato grazie ai concorsi di bellezza: la Lollobrigida, uscita come la Loren da Miss Italia, rifiutò il ruolo che andò a Lucia Bosè che, come Clara Manni, era stata notata mentre faceva la commessa in centro a Milano.
Dal vago sogno della madre di Bellissima, il discorso metacinematografico si fa più centrato ispirandosi alle vite delle dive del momento e il carrozzone giocoso di Fellini nel finale si trasforma in un incubo senza uscita.
Il secondo lavoro di Antonioni segna un momento di passaggio tra il neorealismo e la sua poetica più personale dove il paesaggio diventa metafora dello stato d'animo: il viaggio in vaporetto dopo la proiezione fallimentare del film rappresenta perfettamente il mondo di Antonioni: il pianto solitario di Clara, la vicinanza silenziosa (già finta?) del console Rusconi mentre sullo sfondo scorre la linea grigia della laguna. In altri momenti l'ambientazione sarà meno metafisica e quasi soverchiante: la villa in cui il produttore Franchi vorrebbe richiudere la bella moglie ha un cancello che ricorda le sbarre della prigione, che Clara apre felice per andarsene con Nardo che la lascia riaccompagnandola allo stesso cancello, riconsegnandola alla sua prigione. Pur moderna la villa è oscura e con ambienti illogici, le ombre diventano quasi espressioniste nella scena del tentato suicidio di Gianni dopo che il film su Giovanna d'Arco l'ha portato alla rovina.
Profondamente borghesi gli ambienti in cui la madre di Clara cerca di convincerla a non lasciare il marito, anticamente lussuosi quelli del palazzo nobiliare prestato come set dove Clara incontra per la prima volta Nardo: pur snobbando i "cinematografari" nemmeno le classi più alte possono evitare la curiosità verso il mondo del cinema.
La tristezza del piazzale scelto da Clara per incontrarsi la prima volta con il console, le cartacce e l'immondizia che infestano alcuni luoghi per sottolineare lo squallore della relazione tra i due e la pochezza della carriera a cui Clara si deve adeguare.
Buono il cast ben supportato dalla protagonista, con Cervi emiliano gioviale e amichevole nei panni del socio di Franchi, un altero Andrea Checchi; Desny si riconferma nel ruolo di seduttore infingardo, Alain Cluny è Lodi, l'attore serafico e saggio a cui Clara chiede consiglio.
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