USA 1931, Warner Bros
con John Barrymore, Marian Marsh, Donald Crisp, Bramwell Fletcher, Lumsden Hare, Carmel Myers, Luis Alberni, Paul Porcasi
regia di Archie Mayo
A Parigi il musicista squattrinato Svengali vive grazie alle sue allieve di canto che ipnotizza per sedurle e carpire il denaro. Quando incontra casualmente la modella Trilby si accorge delle grandi doti canore inespresse della ragazza, innamorata del pittore Billee. Sfruttando un malinteso tra i due giovani, Svengali finge il suicidio di Trilby e la porta via da Parigi. Con il potere dell'ipnosi la trasforma in una grande cantante ma al ritorno a Parigi Billee riconosce la ex fidanzata che per un momento riesce a sfuggire al controllo mentale di Svengali. Il pittore si mette sulle tracce dell'amata e ogni volta che è presente in sala Svengali rimanda l'esibizione, si ritroveranno in un locale de Il Cairo dove uno Svengali ormai stremato dallo sforzo mentale muore sul palco...
Film misconosciuto in Italia nonostante le diverse versioni cinematografiche dai primi anni del muto fino alla metà degli anni '50 che hanno fatto entrare il nome del magnetico musicista nel linguaggio anglosassone come sinonimo di manipolatore dai sinistri scopi.
La versione di Archie Mayo del 1931 è molto interessante perché segna un momento di passaggio definitivo dall'eredità espressionista tedesca a un gusto propriamente americano.
Il passaggio è evidente soprattutto nella scenografia: le geometrie sghembe vanno bene per le soffitte bohémien dove incontriamo i nostri personaggi ma quando Svengali e la sua bellissima moglie hanno successo l'arredo della camera è quello ricco e magniloquente del deco.
Anche il personaggio di Svengali è caratterizzato da questa transizione: ad interpretarlo c'è John Barrymore con un look alla Rasputin, figura con cui Svengali condivide anche le capacità manipolatrici.
Il film si apre sull'ultimo incontro con Madame Honori, allieva stonata che si è innamorata del maestro e per lui ha lasciato il marito rifiutandone i denari. Svengali occhieggia disperato con l'aiutante Gecko alle stecche della donna e poi la caccia quando capisce che non avrà nessun vantaggio economico dalla seduzione. Prevale l'elemento comico e solo in un secondo tempo, quando Svengali ipnotizza Trilby per farle passare l'emicrania, capiamo che la frase di Honori “non mi fissare con quegli occhi” allude a un'ultima ipnosi del musicista che induce la donna al suicidio.
Sotto l'apparente bonomia del personaggio si nasconde quindi un animo perverso ma sul finale la caratterizzazione cambia ancora: la manipolazione mentale consuma le energie vitali di Svengali che prima di cedere fisicamente è già stanco di amori mai reali ma indotti dalle sue capacità mesmeriche, la morte sul palcoscenico lo dipinge come una figura solitaria e patetica, più vicina ai mostri Universal che iniziano a rivelare anche un'umanità dietro la mostruosità che alla perversione fine a sé stessa di un dottor Caligari, da cui prende ispirazione il personaggio di Svengali.
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