Italia, 1969
con Maria Callas, Massimo Girotti,Giuseppe Gentile, Laurent Terzieff, Sergio Tramonti, Paul Jabara
regia di Pier Paolo Pasolini
Cresciuto dal centauro Chirone, Giasone rivendica il regno di Iolco e lo zio Pelia chiede in cambio il vello d'oro. Giasone e gli argonauti partono per la Colchide intanto Medea s'innamora del giovane tramite una visione del suo arrivo. Convince il fratello a rubare il vello e quando il padre la insegue smembra Apsirto e segue Giasone in Grecia. Pelia, ottenuto il vello d'oro si rimangia la promessa di cedere il regno e la coppia si trasferisce a Corinto. Dopo dieci anni Giasone è disposto a lasciare Medea e i suoi figli per sposare Glauce, la figlia di Creonte. La vendetta di Medea sarà funesta: spinge al suicidio di Glauce e il padre e uccide i figli avuti da Giasone.
Dopo Edipo Re del 1967, Pasolini torna a confrontarsi con la mitologia classica in quello che forse è il più ideologico dei suoi film in cui mette in scena lo scontro a lui caro tra il mondo arcaico e quello moderno.
La Colchide di Medea è rappresentata come un mondo antico dove il legame con il sacro è totalizzante ed espresso in maniera barbara con il sacrificio umano per ingraziare il raccolto. Il mondo greco rappresenta il mondo occidentale, moderno dove un re - Pelia – può rimangiarsi la promessa di un regno e per lo stesso Giasone, l'oggetto che ha lottato per conquistare ha perso ogni valenza simbolica diventando solo la pelle di una vecchia capra.
L'evoluzione da mondo antico a quello moderno è raccontata nel prologo affidato a Chirone, il centauro che alleva il ragazzo in attesa di riconquistare il regno paterno, anticipandogli l'esito della sua avventura. L'immagine stessa di Chirone muta: quando Giasone è bambino e adolescente il centauro appare nella sua figura mitica di mezzo uomo e mezzo cavallo perché la meraviglia del mondo è insita negli occhi dei bambini mentre a Giasone adulto Chirone appare come un maestro, saggio ma con sembianze umane. Pasolini ripropone la doppia figura del centauro in una visione che fa da cesura tra la prima parte del film e l'abbandono di Medea per Glauce dove la trama riprende la tragedia di Euripide. Lo stesso regista in un'intervista afferma che la figura sacra e quella dissacrata del centauro possono convivere perché l'essenza di Chirone non dipende dalla sacralità del personaggio che diventa muta rappresentazione degli aspetti inconsci e subconsci di quell'essenza.
Medea snatura sé stessa non nel momento in cui abbandona il suo popolo per amore di Giasone ma quando si lascia uniformare alle leggi greche accettando di perdere ogni contatto con la natura. E' attraverso un gesto estremo come l'omicidio dei figli che la maga recupera il senso del sacro dove il dolore per la perdita del marito e il timore del futuro dei figli reietti si sublimano nel raccapriccio della morte esplicitando gli aspetti inconsci che il mondo moderno vorrebbe cancellare.
Il film è celebre per essere l'unica apparizione sul grande schermo di Maria Callas, già Dreyer la voleva per un progetto su Medea ma non se ne fece nulla. Sulla carta doveva essere pessimo anche il rapporto tra il regista italiano e la diva invece nacque un rapporto di profonda stima e amicizia che durò fino alla morte di Pasolini.
Medea è un film molto cerebrale e ideologico ma funziona perfettamente sul piano visivo grazie ai costumi di Piero Tosi, la presenza scenica della Callas e soprattutto l'ambientazione: i paesaggi rocciosi della Cappadocia sono perfetti per rappresentare il mondo arcaico della Colchide, nella laguna di Grado è ambientata Iolco e il contrasto tra il paesaggio roccioso e verticale della Cappadocia con la piattezza lagunare segna la diversità dei due mondi. La piazza dei Miracoli di Pisa è utilizzata per rappresentare Corinto: i muri si fanno possenti e gli spazi angusti come il destino che incombe su Medea e la sua famiglia.
Commenti