USA 2020, Netflix
con David Corenswet, Darren Criss, Laura Harrier, Joe Mantello, Dylan McDermott, Jake Picking, Jeremy Pope, Holland Taylor, Samara Weaving, Jim Parsons, Patti LuPone, Mira Sorvino, Michelle Krusiec, Rob Reiner, Queen Latifah, Paget Brewster, Daniel London
Non so come, una volta tanto Netflix è riuscita a propormi una serie che mi interessava alla fine de La casa di carta. Il guaio è che ho terminato di vedere Hollywood, il giorno in cui è esplosa la notizia della morte di Georges Floyd e allora no, non ritengo la serie troppo buonista e propensa all'happy end.
La serie prodotta da Ryan Murphy (tra i suoi successi Nip/Tuck, Glee, American Horror Story, American Crime Story) riprende il modello tarantiniano di C'era Una volta a Hollywood e Bastardi senza gloria dove nella perfetta ricostruzione storica si inseriscono elementi o personaggi di fantasia che disegnano un nuovo percorso storico: Shosanna che fa secco Hitler, Rick Dalton che stermina gli affigliati di Charles Manson salvando la vita a Sharon Tate.
Hollywood racconta le ambizioni di un gruppo di aspiranti star del cinema nel primo dopoguerra: lo sceneggiatore di colore Archie Coleman scrive una storia su Peg Entwistle, un'attrice veramente esistita che nel 1932 si suicidò gettandosi dalla scritta Hollywood perché non era riuscita ad avere successo nel mondo del cinema.
La sceneggiatura è opzionata da uno studio cinematografico che non sa che l'autore è di colore e la propone al giovane regista Raymond Ainsley che avendo origini filippine vorrebbe realizzare un film che abbia per protagonista l'attrice Anna May Wong, la prima star di origini sino americane ad avere fama internazionale, la sua interpretazione più nota è quella accanto a Marlene Dietrich in Shanghai Express di Josef von Sternberg. Meno noto è che dovette subire l'umiliazione di vedersi preferire un'attrice tedesca, Luise Rainer, per interpretare la protagonista asiatica del film La buona terra per cui la Rainer vinse anche l'oscar.
Ainsley è fidanzato con un'aspirante attrice Camille Washington, una ragazza di colore destinata eternamente a ruoli secondari. E' proprio dalla ragazza che parte l'idea di trasformare il film Meg in Peg ampliando il tema della delusione personale dell'attrice suicida a quello delle minoranze etniche escluse dal sogno hollywoodiano.
Il progetto non avrebbe nessuna chance di concretizzarsi se il capo degli Ace Studio, Ace Amberg non avesse un infarto e la direzione passasse alla moglie Avis Amberg, ex attrice del muto la cui carriera è finita ben presto perché i suoi tratti giudaici non rispecchiano la bellezza proposta dallo star-system. Avis è una donna, moglie e madre frustrata che si vendica dell'indifferenza del marito frequentando i gigolò di Ernie West, un ex attore che gestisce una pompa di benzina dove i bellissimi benzinai sono pronti a soddisfare ogni voglia dei potenti di Hollywood, il personaggio è basato sulla figura realmente esistita di Scotty Bowers.
Ernie arruola tra i suoi gigolò l'aspirante attore Jack Castello che però rifiuta di avere rapporti con uomini e a sua volta porta a lavorare da Ernie lo sceneggiatore gay Archie Coleman. Un altro aspirante attore, tal Roy Fitzgerald, s'innamora di Archie ma ovviamente la relazione non può essere resa pubblica e Roy subisce anche gli abusi del suo agente il viscido Henry Willson che gli cambia nome in Rock Hudson. La timidezza del giovane Rock Hudson e gli abusi subiti dall'agente sono reali. Un motivo per vedere la miniserie è l'attore che interpreta Henry Wilson: Jim Parson il mitico Sheldon Cooper di The Big Bang Theory, mimetico nella trasformazione nell'agente realmente esistito, perfetto nella resa del latente viscidume con cui Wilson riusciva ad imporre i suoi clienti trasformandoli in star (era anche l'agente di Lana Turner, tra gli altri).
Con la consulenza del direttore Dick Samuels e di Ellen Kincaid, che si occupa del vivaio di attori dello studio, Alvis decide di portare avanti il progetto pur sapendo che non sarà un'operazione facile: i cinema degli Stati del Sud dichiarano di rifiutarsi di proiettare il film e gli attacchi del Ku Klux Klan arrivano fino alla porta di casa del regista e della produttrice. Tra mille difficoltà, anche di budget, il film viene terminato ma non i guai. Dopo l'ultimo colpo di scena che vi risparmio, il film esce e ha un successo incredibile al botteghino e viene candidato a numerosi Oscar.
Vince Anna May Wong come migliore attrice non protagonista e ho applaudito più a quell'oscar fittizio che a quelli reali degli ultimi anni. A sostenere la candidatura di Camille prima attrice afroamericana candidata a migliore attrice arriva Hattie McDaniel, la prima attrice afroamericana a vincere come attrice non protagonista per il ruolo di Mamie in Via col Vento. Il suo racconto di come non fosse stata fatta entrare nel teatro ma tenuta in un corridoio fino alla conferma della vittoria è toccante, e sentirlo la notte in cui a Minneapolis iniziavano le rivolte dopo l'omicidio di Floyd, quasi 75 anni dopo è davvero straziante e offensivo per l'intero genere umano.
Hollywood può essere vista come una favola bella dedicata agli amanti del vecchio cinema ma il messaggio è forte e chiaro: senza il potere abbrutente e ipocrita del patriarcato che costringe chi vuol far carriera a tristi ricatti -dal divani del produttore al caso Weinstein- e incanala la creatività in direzioni ben determinate, il mondo è più bello: Arvis con un lavoro che la soddisfa recupera anche il rapporto con la figlia, la libertà di vivere l'amore e la sessualità secondo la propria inclinazione elimina naturalmente il mercato della prostituzione e immaginare che se Rock Hudson non avesse dovuto nascondere la propria omosessualità, avrebbe potuto risparmiarsi l'ingrata medaglia di essere il primo personaggio famoso a morire di Aids, per me ha la stessa valenza della nuova vita offerta a Sharon Tate nel film di Tarantino.
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