Italia, 1943
con Luciano De Ambrosis, Isa Pola, Emilio Cigoli, Adriano Rimoldi, Giovanna Cigoli, Jone Frigerio, Riccardo Fellini, Ernesto Calindri, Cesare Gabrielli, Aristide Garbini, Maria Gardena, Dina Perbellini
regia di Vittorio De Sica
La madre del piccolo Pricò abbandona la famiglia per fuggire con l'amante. Il padre, per tenere il bambino al riparo dalle chiacchiere del palazzo, prima lo affida alla sorella della moglie poi alla propria madre. Presso la nonna, per nulla comprensiva, Pricò si ammala gravemente, Nina torna a casa per visitarlo e dietro le insistenze del bambino il marito la riprende in famiglia. La pace sembra ritornare e Andrea regala una bella vacanza alla famiglia ad Alassio. La moglie e il figlio restano una settimana in più nella località di villeggiatura dove Roberto, l'amante, li ritrova. Nina non sa resistere alla passione e trascorre gli ultimi giorni di vacanza con lui, scordandosi praticamente del figlio che li scopre. Pricò fugge, vorrebbe tornare a Roma dal padre, recuperato dai carabinieri viene restituito alla madre davanti a tutti gli ospiti della pensione che non esitano a mostrare la loro riprovazione. Nina riporta il figlio a Roma e scrive una lettera ad Andrea in cui lo lascia. L'uomo mette il figlio in collegio e si suicida.
Il film che segna la svolta della carriera registica di Vittorio De Sica: il primo film con cui collabora con Zavattini, il primo in cui non compare come attore e il coraggio di scegliere dei temi invisi alla propaganda cinematografica fascista: una donna non solo adultera ma che lascia la famiglia quando l'adulterio era ammesso solo ambientato il località lontane, solitamente Est Europa; il suicidio -tema vietatissimo- di un uomo amorevole e per nulla autoritario e l'infelicità di un bambino che suo malgrado assiste allo disfacimento della sua famiglia, nonostante i tentativi di salvaguardarlo da quanto sta succedendo, Pricò sente e capisce tutto quello che accade: la sensibilità infantile diventa centrale e il bambino non viene considerato un grazioso animaletto incapace di capire.
C'è quel muto gioco di sguardi tra padre e figlio che non il coraggio di rivelare al padre, per non ferirlo ulteriormente, che l'amante della madre li aveva raggiunti al mare che è estremamente commovente ancora oggi.
De Sica riteneva I bambini ci guardano la sua prima vera regia e in effetti l'autore dimostra una grande padronanza nell'uso del mezzo cinematografico: l'incubo in treno di Pricò tra delirio espressionista e surrealista fa il paio con la corsa del bambino in fuga sulla spiaggia, silhouette rincorsa dalla ombre che si staglia sullo scintillio delle onde, il piano sequenza nella pensione quando gli ospiti sfottono bonariamente il bolognese che si vanta di essere un campione a bocce; il dettaglio dei volti di Pricò e suo padre nella muta confidenza in contrasto con il campo lunghissimo del salone del collegio con il piccolo che si allontana dalla madre senza salutarla.
E' interessante notare che molti sinossi di dizionari online siano piuttosto tranchant sulla figura della madre, donna disonesta, mentre de Sica è esente da ogni giudizio sulla figura di Nina, è molto meno comprensivo, invece, con le persone che circondano la famiglia di Pricò, rappresentanti di una piccola borghesia pettegola e meschina.
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