Arthur Fleck vive con la madre malata, ossessionata dall'ex datore di lavoro, il miliardario Thomas Wayne che si è candidato come sindaco di Gotham. Arthur lavora come clown cercando di realizzare il suo sogno: diventare un comico di successo ma è affetto da una rara patologia che lo fa ridere sguaiatamente ogni volta che prova una forte emozione, questo fa di lui un disadattato vittima di derisioni e violenze finché un giorno non si ribella e in metropolitana uccide tre ragazzi ricchi che dopo aver importunato una ragazza se la prendono con lui che, in divisa da clown, era scoppiato a ridere a causa del suo disturbo. L'omicidio fomenta lo spirito di ribellione della città e l'assassino, soprannominato Joker, diventa un idolo delle masse; Arthur prova finalmente l'ebbrezza di essere idolatrato anche se non può rivelare di essere il colpevole, intanto, da una delle numerose lettere che la madre invia a Wayne, l'uomo sospetta di esserne il figlio illegittimo e lo affronta ma dopo aver negato il legame di sangue, il milardario gli fa delle rivelazioni sul suo passato che portano Arthur a scoprire la sua infanzia fatta di abusi, una scoperta che fa esplodere la follia latente di Arthur Fleck che sfrutta il passaggio televisivo nello show di Murray Franklin per rivelare di essere il Joker.
Leone d'oro a Venezia e campione d'incassi d'inizio stagione (ma sarà davvero difficile batterlo se è arrivato alla quarta settimana di programmazione anche in provincia) Joker è un bel film che sa giocare con un discrimine cinematografico: è o non è un cinecomics? Essendomi annoiata da tempo del genere cinematografico in questione, propendo per la seconda categoria, per quelli che, forti della sequenza finale, pensano che l'elemento fumettistico derivato dalla saga di Batman sia solo una cornice a una storia di discesa della follia, un inferno di solitudine e dolore che trova sfogo e redenzione nella violenza.
L'innesto nella saga di Batman permette di attirare l'attenzione di un pubblico più giovane (o disimpegnato?) che altrimenti avrebbe evitato un film così intensamente drammatico. Del resto la pellicola è fatta tutta di rimandi, se vogliamo persino a L'uomo che ride il film muto del 1928 a cui si ispira la maschera del personaggio del fumetto: la risata forzata di Gwynplaine, frutto di un intervento chirurgico passa da costrizione fisica a una costrizione psicologica e c'è un rovesciamento nel rapporto con la figura paterna: nel film di Leni il protagonista rifiuta la sua ritrovata condizione di nobile per restare con gli ultimi che lo hanno accolto mentre in Joker, Arthur è disposto anche all'umiliazione pur di farsi accettare dal presunto padre miliardario.
Ovviamente il richiamo più importante è ai film di Scorsese, iniziale produttore del film, Taxi Driver e Re per una notte, pellicole da cui deriva il tema dell'alienazione nella metropoli sporca e violenta dei tardi anni '70 e che s'incarna in Robert de Niro, protagonista di quelle opere che ritroviamo nei panni del comico di successo, idolo di Arthur che lo invita in trasmissione solo per deriderlo ulteriormente di una sua performance assurda in uno spettacolo per aspiranti comici: che nel 1981 venga inviato un video di una serata amatoriale sarebbe un probabile buco di sceneggiatura ma la dimensione perennemente in bilico tra realtà e distorsione mentale del protagonista permettono anche queste ambiguità.
Altri elementi del cast rimandano alla follia e al mondo di Batman: Zazie Beetz, l'attrice che interpreta la vicina di casa con cui Arthur s'illude di avere una relazione, assomiglia ad Halle Berry che è stata Catwoman nel film del 2004.
La magrezza di Joaquin Phoenix rimanda a quella impressionante di Christian Bale (il Cavaliere Oscuro di Nolan ) in L'uomo senza sonno, altro film sull'alienazione mentale. Sulla bravura innegabile del protagonista è stato detto tutto, a me ha colpito un fattore extra: la somiglianza con il defunto fratello River, che non avevo mai notato prima ed emerge in maniera impressionante quando l'attore è truccato da Joker.
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