A Bucket of Blood
USA 1959
con Dick Miller, Barboura Morris, Anthony Carbone, Julian Burton, Ed Nelson, John Shaner, Bert Convy, Judy Bamber, John Brinkley, Myrtle Domerel
regia di Roger Corman
Walter Paisley, umile cameriere in un ritrovo per artisti, è disprezzato dagli avventori e dal suo capo per la scarsa intelligenza mentre lui si abbevera soprattutto delle poesie di Maxwell H. Brock. Quando uccide involontariamente il gatto della sua affittacamere, stimolato proprio dai versi di Brock, Walter ricopre il cadavere d'argilla e lo spaccia per una sua scultura ottenendo finalmente la stima dei clienti della Porta Gialla. Una ragazza gli regala addirittura una strana fialetta, gesto che non sfugge a Lou Raby, uno dei due poliziotti infiltrati nel locale per controllare lo spaccio di droga. Lou raggiunge Walter a casa e cerca di arrestarlo per possesso di eroina ma Walter terrorizzato dalla pistola lo uccide e trasforma anche Lou in una statua. Leonard, il proprietario del locale, facendo cadere casualmente la statua del gatto si accorge del cadavere nascosto e intuita la pazzia di Walter, cerca di dissuaderlo dal realizzare altre opere ma ormai esaltato dall'attenzione che non aveva mai ricevuto, Paisley non smette di realizzare le sue macabre opere artistiche che sono esposte in una mostra dove il calore rivela ben presto cosa si nasconde sotto la patina d'argilla: tutto precipita quando Carla, la pittrice di cui Walter è sempre stato innamorato, lo respinge e scopre i cadaveri dentro le statue...
Il tema dei cadaveri trasformati in statue è un classico del cinema horror, Roger Corman ha la genialità di utilizzarlo per un creare un piccolissimo film, solo 66 minuti, di profonda critica della società.
Si parte dal tema dell'arte beatnick, il cui linguaggio criptico favorisce il gioco dell'arte contemporanea apparentemente facile per cui anche un cameriere un po' tardo può improvvisamente superare le soglie della percezione e trasformarsi dall'oggi al domani in uno scultore di talento, problema che negli anni si è traferito dal mondo dell'arte a molti aspetti della nostra vita contemporanea con conseguente morte della meritocrazia.
Walter si trasforma in un artista killer per caso ma ben presto l'attenzione e gli attestati di stima di cui non aveva mai goduto in vita sua diventano il motore per cercare nuove vittime per le sue opere d'arte e in questo Corman è profetico della società odierna dove per mantenere o ritrovare la fama e il successo, gli “artisti” sono disposti a svendere la loro dignità.
Le opere di Walter sono solo quattro ma descrivono perfettamente i passi verso la follia del protagonista: il primo assassinio del tutto casuale e la prima statua pensata quasi come un tributo al povero gatto, il secondo omicidio per per difendersi da un'aggressione, il terzo come vendetta verso la modella che lo aveva deriso al locale non credendo al suo talento e il quarto dettato dal bisogno di mantenere lo status di artista, di non essere dimenticato di nuovo.
Interessante anche la figura di Leonard, il proprietario del locale che per primo si accorge dell'imbroglio di Walter: da subito vorrebbe smascherarlo ma un'offerta allettante da parte di un collezionista lo fa desistere e quando si trova di fronte alla statua di Lou il terrore è ormai troppo grande per parlare e si limita solo a cercare di convincere Walter a indirizzarsi verso altre forme d'arte come l'astrattismo, conscio del fatto che le responsabilità degli omicidi del cameriere ricadono anche su di lui e sul cinismo della poesia di Brook, pericolosa per chi non ha gli strumenti per comprenderla.
Commenti