The Serpent and the Rainbow
USA 1988 Universal
con Bill Pullman, Paul Winfield, Cathy Tyson, Zakes Mokae, Brent Jennings, Conrad Roberts
regia di Wes Craven
L'antropologo Dennis Alan durante una spedizione sul Rio Negro beve la pozione di un potente stregone che dovrebbe svelargli il futuro: dopo un primo momento gioioso in cui incontra il suo spirito guida, l'esperienza si trasforma in un incubo di morte. Tornato in America, Alan viene assunto da una casa farmaceutica perché si rechi ad Haiti per seguire il caso di un maestro di scuola, Christophe, ricomparso dopo anni dalla sepoltura: si vuole studiare il caso per sfruttare il fenomeno della zombificazione per migliorare le tecniche di anestesia. Il contatto ad Haiti è la bella psichiatra Marielle Duchamp che lo introduce nella complessa realtà haitiana e di cui Allan s'innamora attirando l'attenzione molesta di Dargent Peytraud, capo dei Tonton Macoute, milizia personale del dittatore Baby Doc Duvalier...
Avevo visto Il serpente e l'arcobaleno al cinema e la nuova visione ha riconfermato l'ottimo ricordo che conservato dell'horror a sfondo politico di Wes Craven.
In questo film il regista offre una rilettura originale della figura degli zombie: se da una parte c'è la ricerca scientifica del fenomeno della morte apparente, dall'altra gli zombie sono la rappresentazione dell'oppressione della dittatura, il capo della milizia Peytraud è uno stregone che ha al proprio servizio innumerevoli anime di altri sciamani e sfrutta questo potere per governare la volontà degli oppositori del potere trasformandoli in zombie, Christophe era un maestro che non aveva paura di esprimere le proprie idee e si ritrova ridotto allo stato di zombie, con l'ulteriore sfortuna di ricordare tutte le fasi del processo di zombificazione: la morte apparente dovuta alla tetradotossina, l'inumazione, il risveglio nella tomba e la “resurrezione” a questa parvenza di vita fatta di terrore e mancanza di volontà al servizio del suo aguzzino.
Tratto dal saggio omonimo dell'etnobotanico Wade Davis che racconta la sua esperienza con il celebre caso di zombificazione accertata del contadino haitiano Clairvius Narcisse, il film di Craven sa riproporre l'atmosfera antropologica mostrando scene di folklore haitiano, da quello per i turisti, alle forme religiose che sovrappongono il culto cattolico al woodoo per arrivare alla dimensione più oscura fatta di cimiteri, visioni spaventose e torture reali inflitte dal Tonton Macoute l'orrore più spaventoso e ahimè reale mostrato nel film.
Una discesa infernale che neppure l'”happy end” finale riesce a mitigare e anche nella realtà, nonostante la fuga del dittatore con cui si conclude il film, le sorti di Haiti rimangono sempre drammatiche.
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