Pépé le Moko
Francia 1937
con Jean Gabin, Mireille Balin, Lucas Gridoux, Gilbert Gil, Charles Granval, Line Noro, Frehel, Roger Legris, Gabriel Gabrio, Fernand Charpin, Marcel Dalio, Saturnin Fabre, Olga Lord, Gaston Modot, Jean Témerson
regia di Julien Duvivier
Il bandito parigino Pépé le Moko si è rifugiato da due anni nella Casbah di Algeri dove risulta imprendibile per la polizia francese ma l'ispettore Slimane attende pazientemente l'occasione per catturarlo. Un giorno il bandito incontra Gaby, una bellissima mantenuta, tra i due scatta il colpo di fulmine scatenando la gelosia di Ines, la donna di Pépé che lo vende all'ispettore. Catturato mentre s'imbarca sulla nave su cui viaggia Gaby, il bandito preferisce il suicidio alla galera.
Un classico del cinema francese d'anteguerra che conferma e spiega molto bene il mito di Jean Gabin, bandito gentiluomo che preferisce i duelli verbali alla violenza, soprattutto con l'ispettore Slimane con cui ha instaurato quasi un rapporto di amicizia.
La lunga scena iniziale nella centrale di polizia serve per introdurre l'esotica ambientazione, la casbah piena di vicoli e passaggi sui tetti conosciuti solo alla sua eterogenea popolazione e presentare il personaggio di Pépé: la lealtà con gli amici e il fascino sulle donne. Siccome sarà proprio questa a rovinarlo Pepe entra in scena con un taglio di ripresa che solitamente è riservato alle dive: la telecamera è puntata sulle gambe, vestite di eleganti pantaloni e scarpe con le ghette, fanno subito di Pépé le Moko un sex symbol e anche se Gabin non è bellissimo ha sicuramente la carica per rivestire il ruolo.
Duviver s'ispira ai gangster movie americani ma il film è diventato una tale pietra miliare della storia del cinema che molto cinema noir americano postmoderno passa da qui.
La casbah è tutta ricostruita in studio, la famosa corsa verso il molo si svolge con un trasparente ma non mancano scene realizzate in esterni, tutto concorre a creare l'atmosfera del film che mischia esotico, poliziesco e melodramma amoroso ma il tema portante, classico del realismo poetico, è la nostalgia.
L'incontro con Gaby avviene in un momento molto particolare, un informatore ha appena causato la morte di Pierre, il più giovane della banda a cui Pépé vuole bene come un fratello, il bandito comincia a rendersi conto che la casbah è solo una prigione più grande da cui non può più uscire pena la vita, l'amore morboso di Ines acuisce il senso di oppressione e improvvisamente compare Gaby, bellissima parigina che ostenta i gioielli conquistati mettendosi con un vecchio riccone. E' la nostalgia della giovinezza spensierata nei quartieri popolari di Parigi a far scattare la scintilla tra i due, un amore rovinato dall'ispettore Slimane che li manipola per riuscire a catturare il bandito, arrivando anche a far credere a Gaby che Pépé sia morto durante uno scontro con la polizia.
Da antologia anche la sequenza finale con Pépé che chiede all'ispettore di poter guardare la nave partire prima di essere portato in carcere, Gaby che si affaccia sul ponte e guarda verso la casbah non sapendo che l'amato è vivo e a pochi passi, il bandito grida il nome di lei ma il frastuono della sirena del piroscafo impedisce alla donna di sentire e torna dentro, perso definitivamente l'amore Pépé si suicida mentre Ines gli chiede perdono.
Importantissima anche la colonna sonora fatta di musiche tribali i cui ritmi serrati acuiscono il senso di oppressione della casbah, la canzone cantata da Tania, interpretata da Fréhel, una chanteuse della Belle Epoque che canta un suo vecchio successo con alle spalle una foto dei suoi tempi d'oro, acuisce il senso melanconico del film; anche Jean Gabin canta una spensierata canzone quando crede che l'amore possa ridargli la libertà.
Più che i due mediocri remake americani, Un'americana nella Casbah (Algiers) e Casbah, da ricordare la parodia Totò le Mokò, di Carlo Ludovico Bragaglia del 1949.
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