Il resoconto dell'ultima settimana di vita di Stefano Cucchi è un racconto asciutto che ancora una volta testimonia l'onestà intellettuale della famiglia, sia nel non nascondere le colpe del figlio sia nell'affidarsi alla legge, perché se è straziante l'agonia di Stefano, una delle immagini che personalmente mi è rimasta più impressa è quella dei genitori davanti all'ingresso del Pertini, soli nel buio, davanti a un citofono che gracchiava l'impossibilità di visitare il figlio senza i permessi.
Un affidarsi alla legge quasi ingenuo quando, durante la perquisizione notturna, il padre si fida e crede che le forze dell'ordine siano in contatto con l'avvocato di famiglia che invece non verrà mai chiamato, un comportamento che onestamente avrei avuto anche io: se un rappresentante dello Stato ti dice una cosa gli presti fede in forza del suo ruolo e invece la tragedia di Cucchi si sviluppa in un delirio kafkiano di omissioni, distrazioni e indifferenza che portano il ragazzo alla morte.
Il pestaggio, l'imperdonabile orrore iniziale, avviene dietro una porta chiusa, nel silenzio che ancora avvolge questo aspetto del calvario di Stefano, un'ingiustizia palese che però avrebbe potuto avere conseguenze meno drammatiche se gli avvenimenti seguenti non avessero congiurato contro la sorte del ragazzo e ancora una volta il film non esita a mostrare che qualche appiglio a Stefano era stato dato per uscire dal baratro mortale in cui stava cadendo.
Un ottimo film di impegno civile dove all'equilibrio della scrittura si accompagna un rigore stilistico fatto di luci livide, di corridoi che indirizzano ineluttabilmente Stefano verso la morte, come quei poliziotti sempre addosso fino a schiacciarlo come sono state stritolate le sue costole e poi quelle immagini sul tavolaccio che hanno un che di pasoliniano.
Della prova di Alessandro Borghi è stato detto tutto il bene possibile: innegabile la sua capacità di incarnare nella voce e nel fisico tutta la fragilità e il dolore di Stefano.
Commenti