Fin dalla prima stagione si era capito che Westworld prendeva solo spunto da Il mondo dei robot di Michael Crichton per andare in un'altra direzione, nella seconda stagione l'obbiettivo della serie si focalizza sui veri temi portanti che riguardano l'uomo e il nostro tempo, se l'evoluzione della coscienza dei robot ha molto a che fare con i temi della psicanalisi e della neuroscienza che supportano l'idea mindfulness della consapevolezza nata dall'attenzione senza pregiudizio dell'emozioni umane (e chi meglio di un robot può farlo?) molto più interessante e spaventoso è il controllo dei dati degli ospiti, la possibilità di duplicare la mente umana nel tentativo di rendere immortali pochi eletti.
Con la solita rapidità americana gli sceneggiatori hanno fornito un punto di vista originale sugli ultimi scandali dei big data, i residenti che camminano verso la loro terra promessa ricordano da vicino il dramma dei migranti, ovviamente quelli che cercano di entrare negli USA dal Messico.
Più che la ricomposizione del gioco temporale, quello che mi ha folgorato in questa seconda stagione è stata la riflessione sul controllo: un giovane William sottolinea come gli ospiti vengano a Westworld e negli altri parchi per poter essere liberi di essere se stessi, lontano dagli occhi indiscreti e dal giudizio di chi li circonda. Nei secoli passati, quando non era l'occhio elettronico a controllarci, c'era la convinzione religiosa di essere osservati da Dio e sottoposti al suo giudizio, uccisa quasi ogni forma di religione l'uomo contemporaneo si è lasciato imprigionare dal controllo tecnologico, in fondo è buffo e dice molto della nostra natura e della semplicità del logaritmo che ci forma.
Commenti