The Lair of the White Worm
GB 1988
con Amanda Donohoe, Hugh Grant, Peter Capaldi, Catherine Oxenberg, Sammi Davis, Paul Brooke
regia di Ken Russell
Angus Flint, giovane archeologo scozzese, trova uno strano teschio scavando nel giardino della pensione inglese gestito da due sorelle rimaste orfane dopo l'improvvisa sparizione dei genitori l'anno precedente. La sera stessa del ritrovamento si tiene la festa tradizionale del villaggio che commemora la vittoria del lord locale su uno spaventoso serpente che infestava la zona, in questa occasionne Flint conosce James d'Ampton, discendente del lord in questione e nella stessa notte viene ritrovato l'orologio da taschino del padre delle sorelle Trent. Anche Lady Sylvia Marsh è tornata a vivere a Temple House e ben presto James intuisce che la leggenda che riguarda il suo antenato e le nuove sparizioni nel villaggio sono collegate all'enigmatica vicina..
Dall'omonimo racconto di Bram Stoker, Ken Russell trae un horror che si mantiene fortunosamente in bilico tra ironia e umorismo involontario e risulta affascinante perché non sempre si capisce quando si scade da un confine all'altro.
L'ironia sta certamente nelle battute su morsi e bocconi, sulle continue anticipazioni di tubi bianchi, dalla gomma da giardino al tubo dell'aspirapolvere che introducono la presenza del serpente bianco.
Le allusioni alla lotta tra la religione pagana e il cristianesimo con delirio di monache stuprate dai legionari romani guidati dalla sacerdotessa di Dionin o le scene con falli posticci scadono nell'umorismo involontario come il lancio della mangusta sventrata.
La sequenza onirica che permette a James di intuire la verità dietro la leggenda, ha dei momenti validi: il quadro che immortala l'antenato come un San Giorgio locale che uccide il serpente o drago, lascia il posto al solo sfondo della caverna che rivela uno stile surreale alla Magritte, perfetto per la dimensione onirico rivelatoria con un momento di geniale ironia quando le due hostess lottano sotto gli occhi di James la cui eccitazione è rivelata dal sollevamento della matita che tiene in mano.
Ken Russell è quindi cosciente di fare un film mediocre, puramente alimentare che sfrutta la scia del successo di Gothic e gioca con la sua stessa svogliatezza impreziosendola con alcune citazioni cinematografiche: alla televisione passa un frammento di un film di Méliès, Lady Sylvia per non farsi scoprire, brucia un gioco nel camino sussurrando "Rosebud" e la locandina stessa del film richiama il balletto iniziale de Il culto del cobra.
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