La Collezione Peggy Guggenheim indaga nella mostra Simbolismo Mistico i sei saloni dei rosacrociani che si sono tenuti a Parigi tra il 1892 e il 1897 per volontà dello scrittore e critico d'arte Joséphin Péladan, personaggio sicuramente singolare e non solamente per le sue idee mistiche che venano le istanze simboliste di cattolicesimo e occultismo in una ricerca del bello ideale che fugga la realtà.
Per perseguire questo scopo, Pédalan stila delle regole ferree riguardanti i soggetti delle opere esposte: bandite le scene naturaliste dalle nature morte ai paesaggi, a meno di non essere “paesaggi ideali”. Vietata la pittura storica in favore di soggetti riguardanti leggende, allegorie o sogni.
Sarebbero vietati anche i ritratti ma vige l'eccezione per personaggi ispiratori del movimento rosacrociano, Baudelaire e Wagner e per Pédalan stesso che si vede come un demiurgo e la prima sala della mostra ci mostra proprio i ritratti favoriti del critico, quello di Alexandre Séon che lo rappresenta come il “Sar Medorack”, la guida secondo un termine che dovrebbe ispirarsi al nome di un sovrano babilonese,
il ritratto di Jean Delville che esalta gli aspetti cattolici del movimento rappresentando Péladan come un Cristo Pantocrate mentre il ritratto di Marcellin Debutin ce lo mostra come un dandy ma il nero imperante richiama la grande ritrattistica nobiliare sottolineando ancora il ruolo aristocratico che il critico si ascrive.
Se l'ego è smisurato, la misoginia non difetta e tra le sue regole sono ben chiare quelle relative al genere femminile: non sono ammesse pittrici (ma pare che alcune riuscirono ad esporre ricorrendo a uno pseudonimo maschile) e anche la figura femminile rappresentata nelle opere oscilla tra la santa, la donna innocente opposta alla diabolica femme fatale di cui dà una meravigliosa rappresentazione L'idolo della perversione ancora di Delville, uno degli “artisti dell'anima” che fanno parte della cerchia più ristretta della confraternita rosacrociana sempre presente ai Salon; alle varie edizioni, però, parteciparono molti artisti meno impregnati dai dettami di Pèladan, soprattutto alla prima edizione che fu un evento di grande richiamo mentre l'interesse andò scemando negli anni seguenti.
All'edizione del 1892 partecipa anche Gaetano Previati con l'opera Maternità che non è esposta in mostra, presente è invece L'abime (Salon del 1894) di Georges de Feure, più noto al grande pubblico per la sua produzione cartellonistica squisitamente art nouveau, stile che torna nella decorazione floreale della cornice.
Un artista inatteso è Felix Vallotton presente nel Salon del 1892 con otto xilografie alcune assai lontane dai dettami di Peladan come Il Cervino, paesaggio realistico o Il funerale opera di critica sociale, genere non gradito al Gran Maestro, più congeniali i ritratti di Baudelaire e Wagner.
La prima gloriosa edizione dei Salon de la Rose + Croix aveva l'appoggio del mecenate Antoine de la Rochefoucault che aprì ad artisti meno legati all'ortodossia imposta da Pédalan.
Fin da subito però alcuni grandi simbolisti a cui il critico si ispira sono contrari alla linea rosacrociana, balzano agli occhi le assenze di Gustave Moreau e Odilon Redon a cui suppliscono le opere di seguaci tra cui spicca l'opera di Marcel-Bérronneau, l'Orfeo del 1897 scelto per la locandina della mostra.
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