Francia 1947
con Howard Vernon, Nicole Stephan, Jean-Marie Robain
regia di Jean-Pierre Melville
1941 nella regione del Delfinato, la casa di un anziano che vive con la nipote viene requisita come abitazione per un ufficiale tedesco, i due francesi opporranno un severo silenzio a questa convivenza imposta ma l'ufficiale ex musicista cercherà di conquistare la fiducia dei suoi ospiti raccontando il suo amore per la Francia e spiegando romanticamente, facendo riferimento alla fiaba della Bella e la Bestia come un matrimonio apparentemente forzato darà frutti notevoli per le due nazioni. Pur mantenendo il riserbo i due francesi restano affascinati dalla presenza corretta dell'ufficiale ma dopo una visita al quartier generale tedesco a Parigi, Von Ebrennac torna profondamente deluso dopo aver scoperto gli orrori di Treblinka e le vere intenzioni dei nazisti che vogliono cancellare la cultura francese e comunica agli ospiti l'intenzione suicida di tornare al fronte, la mattina della sua partenza il vecchio fancese fa trovare al tedesco un libro di Anatole France aperto sulla massima “viva il soldato che si oppone a un ordine criminale”.
Il primo lungometraggio di Jean-Pierre Melville che diventerà il maestro indiscusso del polar francese è una riflessione sulla guerra, a due anni dalla sua conclusione.
Il regista porta sul grande schermo un libro scritto nei primi anni dell'occupazione tedesca e diventato di culto tra i dissidenti grazie al passaparola. Nonostante questa fama fu imposto un rigido controllo di una commissione di ex partigiani sulla lavorazione che complicò ulteriormente la genesi del film già faticosa per il ristretto budget della produzione; anche Vercors, l'autore dell'omonimo romanzo, non era molto fiducioso sul risultato che invece è davvero notevole: per quanto sia un'apparente trasposizione didascalica del monologo interiore del vecchio che racconta la convivenza con l'ufficiale tedesco, Melville è in grado di comunicare attraverso il mezzo filmico tutta una serie di emozioni che testimonia l'evoluzione del rapporto tra i tre personaggi; come dice il romanzo stesso le mani rivelano più del volto e ai tremori delle mani della ragazza che cuce, alle mani del vecchio che si scaldano al fuoco e a quelle noervose dell'ufficiale che ha visto cadere tutte le sue illusioni il regista affida molto del non detto.
Inizialmente Werner Von Ebrennac è ripreso dal basso verso l'alto a sottolineare l'imposizione prima di tutto militare ma anche dell'uomo che cerca di vincere l'ostilità dei suoi ospiti con l'insistenza della propria presenza, man mano che la tacita stima si instaura anche la ripresa del volto del militare si fa meno dominante e verso la fine del film lo vediamo addirittura inquadrato alla stessa altezza della giovane donna a cui molte delle sue parole sono destinate.
La pellicola è in sintesi, un lungo monologo dell'ufficiale tedesco, i pochi dialoghi riguardano episodi che lui racconta ai suoi ospiti; il vecchio è solo la voce off narrante e la ragazza pronuncia due sole parole in tutto il film quando le illusioni di Von Ebrennac sono oramai crollate e ha deciso di tornare al fronte.
Il film viene considerato un'anticipazione della Nouvelle Vague per la libertà dello stile, le riprese negli esterni originali, anche la casa non è ricostruita in studio ma è la vera abitazione di Vercos.
Molte di queste scelte nfurono dettate dalle difficoltà economiche ma certamente ne Il silenzio del mare emerge l'autorialità del linguaggio cinematografico di Melville, pur con l'evidente debito verso Quarto Potere di Orson Welles.
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