USA 1954 20th Century Fox
con Robert Mitchum, Marilyn Monroe, Rory Calhoun, Tommy Rettig, Murvyn Vye
regia di Otto Preminger
L'agricoltore Matt Calder rischia di perdere il figlioletto Mark ancor prima di conoscerlo, nell'avamposto dell'Oregon in preda alla febbre dell'oro, del ragazzino si è occupata May, sciantosa dal cuore d'oro, fidanzata con Weston, un baro di professione che ha vinto al gioco la concessione di un cercatore e deve correre in città a registrarla. Weston ruba il cavallo e il fucile a Carver che lo aveva salvato dalle rapide del fiume, lasciando l'agricoltore e il figlioletto alla mercé degli indiani, Kay decide di restare con loro in attesa del ritorno di Weston ma per sfuggire all'aggressività degli indiani i tre saranno costretti a una tumultuosa fuga lungo il fiume...
Un film pochissimo amato dagli interpreti, Marilyn lo reputava il suo film peggiore, che invece conserva la sua dignità attraverso gli anni.
Per quanto concerne l'attrice, oltre che farle cantare le canzoni più belle del suo repertorio, River of no return in testa, La magnifica preda le regala un ruolo un po' diverso dagli altri: una volta tanto non incarna lo stereotipo dell'oca giuliva ma è una donna intelligente e disincantata che nonostante le durezze della vita ha ancora la capacità di capire che gli uomini non sono sono solo le gesta cattive che compiono.
Robert Mitchum è roccioso come non mai nel dar vita a Matt Calder, un uomo con un passato burrascoso alle spalle (la galera) che ha deciso di ricominciare lavorando la terra e prendendo con sé il figlioletto dopo la morte della madre.
I due attori, costretti dagli obblighi contrattuali a girare la pellicola, furono sicuramente scelti per la loro presenza scenica: il film è una lotta corpo a corpo per la sopravvivenza; sullo sfondo dei scenari mozzafiato del Canada ripresi per la prima volta in Cinemascope, i due attori incarnano letteralmente l'assunto: lotte tra uomini per il possesso della bella, lotta contro un puma affamato e anche il primo avvicinamento tra i due è una lotta.
Anche la figura del bambino è meno sdolcinata del solito, per merito della mano del regista, Otto Preminger che in tutti i suoi film ci parla cinicamente dell'ambiguità umana così nel finale Mark dovrà vivere in prima persona l'esperienza che ha segnato la vita del padre.
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