Keith Haring è forse il più noto artista della fine del XX secolo: un writer la cui opera è caratterizzata da “omini” hanno invaso anche il merchandising di oggetti e e magliette, oltre che i muri delle grandi città; è risaputo il suo impegno che ne fa un simbolo della controcultura americana a favore dei diritti gay e razziali, molto meno nota la profonda conoscenza dell'arte di Haring acquisita da autodidatta e in maniera disordinata.
La bellissima mostra milanese indaga questa nuova lettura critica dell'arte di Haring confrontando i dipinti e i graffiti dell'artista con opere della tradizione classica e della storia dell'arte moderna e contemporanea, ne esce l'immagine di un uomo colto in grado di rileggere in maniera originale e contemporanea l'intera storia dell'arte cogliendo quel fil rouge di contenuti e forme che ritornano in maniera più o meno sotterranea nell'arte mondiale.
La mostra parte confrontando l'omino con le braccia alzate di Untitled 1981 con la simbologia umanista che poneva l'uomo al centro dell'universo e tra i referenti di Haring troviamo anche l'Uomo Vitruviano di Leonardo.
Un calco della colonna Traiana è messo a confronto con un lungo graffito su foglia di metallo del 1984. La simbologia e l'arte classica affascinano molto l'artista newyorkese: è impressionante la similitudine tra la Lupa Capitolina e la sua opera del 1982.
L'immaginario fantastico di Haring trae ispirazione dal dio egizio Anubi per i suoi omini con la testa di cane, dalle chimere e dalle meduse del mondo classico, rivisita l'Albero della vita proposto anche da Klimt e presente in moltissime culture: Haring infatti pesca anche nella cultura primitiva in parte ispirato dalle avanguardie d'inizio secolo in parte per la sua curiosità insaziabile che lo porta a confrontarsi con culture diverse da quelle occidentali.
Altro modello fondamentale per l'artista è la pittura di Hieronymus Bosch, il pittore che ha saputo esprimere nella maniera più mirabolante l'immaginario fantastico medievale che affascina molto Haring che però non dimentica di guardare anche ai grandi dell'arte del XX secolo: Picasso è il modello con cui tutti coloro che sperimentano in arte devono confrontarsi e Haring lo fa da par suo.
Matisse non può non affascinare il writer per il suo uso del colore. Lo stile prima informale, trova le sue origini in Dubuffet e Léger, ma Keith Haring non dimentica la lezione della Pop Art anche perché l'amore per il fumetto nasce dalle prime esperienze infantili dato che il padre gli disegnava fumetti e trasmette la passione al figlio che manterrà sempre il tratto schematico e giocoso del cartoon, sia che riproduca un trittico trecentesco nel gesso, sia che trasformi in una performance i suoi disegni nella metropolitana di New York: Haring non snatura mai sé stesso nel confronto con qualsiasi stile o tipo di arte.
La lettura critica della mostra è innovativa e molto ben articolata ma diventa secondaria rispetto l'energia e la potenza che emanano le opere in grado di parlare a ogni tipo di pubblico.
Bellissima e anche commovente l'opera scelta per la locandina della mostra: un fregio di gusto arabeggiante volutamente non finito che fa pensare alla morte prematura dell'artista avvenuta nel febbraio 1990 a causa dell'AIDS.
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