USA 1986 Orion
con Melanie Griffith, Jeff Daniels, Ray Liotta
regia di Jonathan Demme
Charlie Driggs, faccia da bravo ragazzo e yuppie di successo viene agganciato in un bar dalla disinibita Lulù che ha notato la fede al dito e una latente tendenza dell'uomo a trasgredire e pensa che sia il tipo che le serve per il progetto che ha in mente ma le cose non andranno come previsto perché nulla è come sembra..
Sotto la patina colorata e pop di Qualcosa di travolgente si muove qualcosa di oscuro, l'inquietudine dark che ha sempre mosso il cinema di Jonathan Demme.
In questa pellicola si manifesta con un continuo capovolgimento di ruoli e anche le citazioni cinematografiche vengono stravolte: nello scontro finale tra Ray e Charlie nel bagno, l'unico posto sicuro diventa la doccia e una volta tanto da dietro alla tenda sbirciamo salvi la stanza dove il sangue e l'acqua si mischiano come ha insegnato Hitchcock in Psycho.
C'è un altra bellissima scena, di semplice raccordo, quando Ray cerca di liberarsi della giovane commessa per partire all'inseguimento di Charlie e Audrey, non si capisce se stiamo guardando dentro la stanza del motel o se la scena si svolge davanti alla stanza: è il secondo caso e l'illusione è data da una veranda, anche nella scenografia ricorre l'ennesimo elemento inaspettato che arriva a complicare gli eventi.
Il continuo ricordare che niente è come appare è una scelta stilistica molto chiara che nasconde una critica all'edonismo reaganiano, all'apparente felicità delle diverse classi sociali: il broker di successo con la bella casa nel lussuoso sobborgo in realtà vive solo in una casa vuota perché la moglie l'ha lasciato.
La disinibita Lulù non cerca un compagno di sesso ma un tipo presentabile con cui presentarsi alla mamma e alla riunione dei compagni di liceo: ma a un tipo davvero trasgressivo importerebbe della festa di classe dieci anni dopo? In fondo Lulù/Audrey è profondamente middleclass (o borghese come diremmo noi) nonostante la sua vita sopra le righe.
Il male vero che fa esplodere tutte le inquietudini è Ray un bravissimo e bellissimo Ray Liotta al primo ruolo importante, apparentemente un delinquentello “white trash” che nasconde un animo ben più crudele, la sua entrata in scena porta un'escalation per cui il film raggiunge vette thriller che spiazzano lo spettatore convinto di star vedendo una commedia divertente.
La figura femminile nel film subisce profonde trasformazioni che possono essere lette come una metafora della condizione femminile, Melanie Griffith entra in scena con un caschetto nero e un nome, Lulù i cui rimandi a Louise Brooks sono più che evidenti: è interessante notare che l'unico modello a cui rifarsi per rappresentare una donna libera risalga al cinema muto.
A casa Lulù si trasforma in Audrey, bionda con abiti anni '50 il prototipo della perfetta ragazza della porta accanto incarnato dalla prima Hepburn, nell'happy end finale (il film ha andamento circolare e si chiude nel luogo dove si era aperto) Charlie ritrova Audrey elegante come una signora disposta a lasciarlo guidare una famigliare come si converrebbe a una diva di un film anni '60: c'è da chiedersi se il regista non voglia dirci qualcosa sulla parabola femminile nel cinema e nella società americana.
Da segnalare alcuni camei interessanti come quello del venditore d'auto usate interpretato dal regista John Waters; imperdibile la colonna sonora composta da Laurie Anderson e John Cale con canzone dei titoli di testa di David Byrne.
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