Quando improvvisamente dodici astronavi aliene stazionano in dodici punti diversi del nostro pianeta, la linguista Louise Banks viene ingaggiata dalla task force americana che cerca di comprendere la natura del misterioso oggetto sul suolo americano, per capire se gli alieni sono in grado di comunicare tra loro e anche con noi...
Denis Villeneuve affronta la fantascienza filosofica con un messaggio fortemente pacifista: non si vedevano da tempo alieni animati da così buoni intenzioni, personalmente li ritengo anche un po' sprovveduti dato che sono venuti sulla Terra per creare un rapporto amicale in previsione del fatto che tra 3000 anni la loro razza avrà bisogno del nostro aiuto e contare su un sentimento di gratitudine da ripagare dopo 3000 anni mi sembra chiedere un po' troppo alla razza umana che come al solito, all'arrivo degli alieni, rischia di distruggersi da sola per paura, scarsa comprensione e nessuna voglia di scambiarsi le informazioni acquisite. A prendere letteralmente in mano la situazione e salvare il pianeta è la giovane linguista che con passione cerca di comunicare con gli alieni interpretando il loro linguaggio e ricevendone in cambio una comprensione dell'universo che trascende i limiti del nostro mondo. Lo stile scelto dal regista è estremamente minimalista, sia nella rappresentazione delle astronavi dai gusci convessi che si fermano a pochi metri dal suolo terrestre sfidando la legge di gravità, che nel rappresentare gli alieni, presenze sfuggenti immerse nella atmosfera liquida che permette loro la vita (e chissà perché a livello inconscio sono convinta che l'acqua sia l'elemento terrestre che meglio possa rappresentare una diversa concezione temporale).
Arrival punta molto sull'enfasi per celazione: l'arrivo degli alieni, che pure dà il titolo al film, non è mostrato: l'attenzione è rivolta sulle reazioni dei terrestri che assistono all'evento sui media. Gli eptapodi in fondo non sono figure così innovative per gli amanti della sci-fi e mi permetto una battuta dicendo che più Tom & Jerry (Abbot & Costello nella versione originale) io li avrei soprannominati Yog e Sothoth. Il film sembra voler parlare all'inconscio delle persone usando un immaginario derivativo dai classici della fantascienza, una logica stringente per cui a un certo punto avevo capito chi era il padre di Hannah, la figlia di Louise, un apparente tentativo di “furbizia” lasciando la possibilità di immaginare un paradosso temporale alla Terminator smentito della scrittura circolare (come il tempo) degli alieni.
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