L'ultimo spettacolo di Marco Paolini è un work in progress per cui suscettibile di cambiamenti ad ogni rappresentazione: la messa in scena a cui ho assistito venerdì 2 settembre a Monforte d'Alba nella rassegna Attraverso Festival inizia con il racconto dell'Orologio Wagner del Pantheon di Parigi restaurato senza i permessi statali dal gruppo clandestino degli Huntergunther e per quest'opera di miglioria di un bene pubblico l'associazione culturale è stata processata (la storia è raccontata sul loro sito)
Ma a Paolini non interessa raccontare una vicenda di paradosso burocratico, l'orologio serve per scandire il tempo di uno spettacolo in divenire ma soprattutto raccontando un episodio di 5000 giorni nel passato l'artista prende lo spunto per narrare quello che sarà tra 5000 giorni nel futuro.
La differenza con gli altri Album di Paolini è proprio questa: non più lo sguardo verso il passato dell'alter ego Nicola ma una proiezione verso il futuro di Achille, un fotografo che si vede affidato da una donna con cui intrattiene una relazione virtuale il figlio di lei, Nicola Fermat che preferisce essere chiamato Numero Primo. Questo padre per procura che si consola nel non essere il primo nella storia, si ritrova a dover gestire un bambino di cinque anni, curioso vivace.. speciale.
Nella storia di Achille e suo figlio, per quanto futuribile, ritorna tutta la capacità affabulatoria del Paolini che conosciamo, in grado d'immergere lo spettatore nella realtà del racconto di un futuro leggermente più distopico di quello che conosciamo oggi: cosa potrà mai cambiare in 5000 giorni? Forse davvero Marghera si riconvertirà in una fabbrica della neve che salverà Venezia dall'acqua alta e di sicuro la tecnologia a cui siamo ormai perennemente connessi e forse dipendenti assumerà forme nuove e l'uomo ritroverà la sua natura di accudente anziché di accudito, un po' come gli Huntergunther dell'apertura che si prendono carico di una responsabilità senza avere nessun obbligo, se non morale.
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