Antonio Pane, divorziato con un figlio musicista, alla soglia dei cinquant’anni per sopravvivere alla crisi si ritrova a fare il rimpiazzo: sostituire anche solo per poche ore chi per forza maggiore non può adempiere al proprio lavoro. Nel frattempo partecipa anche a concorsi statali e proprio durante un esame incontra Lucia, una giovane ragazza a cui passa i risultati del test d’ammissione..
Tra omaggi a Ladri di biciclette e Tempi moderni, Gianni Amelio dice la sua sulla pesante situazione lavorativa italiana: vorrebbe essere un film leggero dalle venature grottesche comunque improntato all’ottimismo ma risulta un’opera confusa e francamente irritante.
All’inizio l’entusiasmo di Antonio Pane (nomen omen in quanto il protagonista è davvero buono come il pane) è anche interessante per lo spettatore che vede una serie di lavori poco conosciuti al grande pubblico come la banda di spazzini che compatti, puliscono lo stadio dopo la partita. I luoghi in cui si muove Antonio sono i quartieri coinvolti nella riqualificazione per l’Expo e questa Milano inedita è resa ancora più piacevole da scoprire grazie alla fotografia sempre più che eccellente di Luca Bigazzi.
A un certo punto il mimetismo lavorativo del protagonista comincia a generare qualche sospetto: possibile che sia sempre così abile in tutto, anche in grado di guidare i tram? (forse è per quello che a Milano succedono molti incidenti che coinvolgono i mezzi pubblici!).
A quel punto della trama si inserisce la pseudo storia d’amore (pessimo, anche da un punto recitativo, il momento d'intimità sui divanetti) i cui risvolti fanno già intendere il messaggio del regista che si fa ben chiaro quando il nuovo compagno della ex moglie, ricco perché senza scrupoli, affida ad Antonio un’attività di copertura che culmina in un’inquadratura in cui il nostro protagonista rischia di restar sommerso da un cumulo di scatole vuote, metafora ormai trita dell’allegra finanza contemporanea che ci ha portato al baratro: assai meglio la vita peregrina ed avventurosa di Antonio Pane anche se è sfruttato da un caporale e la sua ingenuità lo mette in una situazione francamente di pessimo gusto (l’episodio del bambino poteva essere tranquillamente risparmiato).
L’irritazione però esplode nel rapporto con il figlio (il bel Gabriele Rendina che spero di rivedere presto sullo schermo) che si chiama Ivo come un noto personaggio interpretato da Albanese, distrazione metacinematografica che non ho gradito. All’inizio sembra che sia il figlio a prendersi cura del padre passandogli anche dei soldi all’insaputa della madre. Sassofonista di belle speranze, Ivo mostra viva via delle debolezze a cui il padre nel finale ottimista porrà consolazione e rimedio con banalità scontate e superficiali come “impara a volerti bene” e il pistolotto sul fatto che anche lui la mattina sente un peso sullo stomaco ma trova la forza di reagire: complimenti allo spirito di Antonio Pane ma la lezioncina è proprio stantia e veteromoralista.
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