Baz Luhrmann porta sullo schermo il quarto adattamento cinematografico del celebre romanzo di Francis Scott Fitzgerald sottolineandone gli aspetti che più gli sono congeniali, come il lato romantico della storia d’amore tra Gatsby e Daisy. Il regista esalta soprattutto il materiale adatto al suo talento visionario e trasforma la modernità dell’art deco in una metafora della contemporaneità asservita al denaro, al lusso e al godimento sfrenato. Più che l’enorme villa di Gatsby in questo senso colpisce l’appartamento che Tom Buchanan ha allestito per Myrtle: copia kitsch della moda imperante in fatto di arredamento. Fatte le debite differenze di stile, alla base ho ritrovato la stessa idea che sta dietro l’allestimento stravagante delle “case” dei vari reality show contemporanei: quella di riprendere senza cognizione di causa le idee più estreme ed estemporanee in fatto di arredamento scatenando l'emulazione in chi vuole essere di tendenza. Sempre al mondo del reality rimanda quel continuo spiarsi tra Nick e Jay e tutta la tragedia si svolge sotto gli occhi vacui ed impassibili del vecchio cartellone dell’oculista,
La rilettura del presente è la parte più riuscita del film di Luhrmann e mi ha inquietato molto, pensando che l’altro film del momento, il nostrano La Grande Bellezza, a sua volta mette al centro il divertimento cafonal: se due autori agli antipodi, per lo meno per estrazione geografica, analizzano un tema così simile, forse stiamo davvero suonando mentre il Titanic affonda..
Pur essendo un film che ammalia e diverte il pubblico, e anche la sottoscritta, Il grande Gatsby riserva delle note dolenti, Luhrmann forse deve ancora liberarsi completamente dal successo di Moulin Rouge!, richiamato un po’ troppo nello stile delle scene festaiole e anche gli aliti di vento, le finestre sbattute per sottolineare l’improvviso cambio di passo da commedia a tragedia che così bene funzionavano in Romeo + Juliet assumono qui un tono manieristico.
Per certi versi ritengo o soprattutto spero, data la mia grande passione per il regista australiano, che Il Grande Gatsby rappresenti un momento di transizione nella filmografia di Baz Luhrmann: quell’uso del lettering nella parte finale con le parole del racconto che cadono come pioggia non è riuscito ma lascia intuire nuovi percorsi da esplorare per colui che resta uno dei talenti più visionari della cinematografia mondiale.
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