Dall’11 settembre alla morte di Bin Laden, il racconto dei dieci anni che hanno sconvolto l’America visti attraverso l’esperienza di Maya, l’agente della CIA che ha seguito caparbiamente le tracce della primula rossa della Jihad.
Kathryn Bigelow è stata la prima regista donna nella storia del cinema a vincere l’Oscar per il miglior film (The Hurt Locker, 2008) risulta quindi paradossale che il suo film meno adrenalinico e più didascalico sia quello che racconta una caparbia affermazione femminile.
Maya si ritrova a iniziare la sua personale caccia a Bin Laden nel pieno dell’amministrazione Bush quando le torture ai prigionieri islamici erano pratica comune. La vediamo diventare sempre più insensibile di fronte alle pratiche più cruente mentre il mondo continua a subire gli attentati di al-Qaeda a Londra e lei stessa rimane coinvolta nell’esplosione dell’Hotel Marriott a Islamabad. La labile traccia ottenuta attraverso le torture si perde nella convinzione che il corriere di Bin Laden sia morto da anni, fino al momento in cui si scopre che c’è stato un errore umano che ha causato uno scambio di persona. Ritrovato il filo, Maya si attacca ossessivamente alla sua convinzione e con determinazione porta dalla sua parte gli agenti sul campo e i vertici della CIA fino ad ottenere da Obama l’autorizzazione alla missione nel compound di Abbottabad che porta alla morte del capo dei terroristi islamici.
Sulla carta sembra una storia forte, di tipico stampo americano per cui il risultato si raggiunge comunque grazie ai metodi ritenuti leciti in quel momento, passando con nonchalance dalla tortura alla deduzione investigativa; sullo schermo il risultato è altalenante con momenti decisamente noiosi a scene notevoli (il viaggio notturno degli elicotteri tra le gole del Pakistan).
Più che le scene di tortura mi si aprono degli interrogativi di fronte all’attacco della casa fortezza di Bin Laden, risolta in maniera forse un po’ troppo semplicistica rispetto alle famose immagini di ansia di Hillary Clinton e Obama che assistono al raid dalla Casa Bianca.
Dove però il film pecca proprio è nelle scene anticipatrici che non hanno senso in un film che vuole avere un taglio quasi documentaristico, mi riferisco al gatto nero che attraversa la strada mentre arriva l’auto dei terroristi a Camp Chapman o il tiro finalmente riuscito con il ferro di cavallo mentre Maya riceve l’annuncio che l’operazione si svolgerà la notte stessa.
Non l'ho visto però la storia sembra Homeland. Mi sbaglio?
Scritto da: romina78 | 08 marzo 2013 a 01:14
ti avevo risposto in precedenza ma typepad sembra aver problemi a prendere i commenti, scusa..
Scritto da: ava | 16 marzo 2013 a 13:55
riprovo per l'ennesima volta a commentare scusandomi per i guai del server
Anche io sono entrata n sala aspettandomi una similitudine tra il film e Homeland che poi non ho trovato, di certo lo stile del film conferma la libertà creativa delle serie americane rispetto ai prodotti per il grande schermo
Scritto da: ava | 21 marzo 2013 a 17:31