Nel 1858 il cacciatore di taglie Dr. King Schultz, libera uno schiavo per avere la sua collaborazione e riuscire a catturare tre ricercati. Tra Schultz e Django si instaura un rapporto di amicizia e il cacciatore di taglie decide di aiutare l’uomo a rintracciare e liberare la moglie, Broomhilda, che si scopre essere nelle mani del proprietario terriero Calvin Candie la cui fama di feroce schiavista è leggendaria in tutti gli Stati del Sud.
Secondo film, dopo Inglourious Basterds, in cui Tarantino rilegge (a modo suo) la Storia, avvalendosi di un quartetto di attori (Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio, Samuel L. Jackson) in stato di grazia.
Il regista pulp per eccellenza sembra avvertire la necessità di contestualizzare storicamente la violenza per dare una valenza morale alle sue pellicole facendole uscire dal sottobosco criminale di cui ha raccontato le dinamiche fino a Grindhouse - A prova di morte.
Se in Bastardi senza gloria la distinzione tra buoni e cattivi era manichea: ebrei e partigiani contro i nazisti, in Django Unchained c’è un ulteriore scatto morale perché il film si può leggere come l’epopoea dello schiavo liberato Django o come il percorso di presa di coscienza dell’adorabile Dr. Schultz che lo porta all’estremo sacrificio. Perchè proprio nel momento in cui la messa in scena per liberare Broomhilda sta per andare in porto, Schultz non riesce più a restare nei limiti del personaggio che si era costruito, proprio lui che più volte ha ripetuto a Django che una volta entrati nel personaggio non è più possibile uscirne? Non certo per permettere a Tarantino di regalarsi il cameo più lungo e divertente della sua carriera!
Schultz si presenta a Django equiparandosi a uno schiavista: anche lui vive vendendo carne umana un tanto al chilo, si reputa migliore di un proprietario di schiavi perché elimina solo persone che la legge ha riconosciuto come criminali (anche se li uccide davanti ai loro figli) ma nel momento in cui entra in contatto con il perverso Candie si rende conto che se vuole essere davvero superiore a un individuo così viscido deve uscire dal personaggio e rivendicare la propria dignità rifiutando una stretta di mano.
Un’altissima lezione morale che Tarantino racconta con il suo solito stile grondante ironia il che non è un male perché la scena che meglio stigmatizza l’idiozia dei membri del nascente Ku Klux Klan è quella che li mostra come una banda di cazzoni che perde tempo discutendo sulla qualità dei sacchetti che usano per mascherarsi, talmente pessima da non fargli vedere nulla.
Nella sua geniale capacità di mescolare stili e suggestioni, Tarantino in Django unchained riesce a coniugare l’omaggio filologico (musiche, scene e Franco Nero) dello spaghetti western Django di Corbucci con la leggenda nibelunga di Sigfrido, facendo vestire i panni di uno degli eroi ariani per eccellenza a uno schiavo nero, ulteriore raffinato sberleffo al razzismo.
Commenti