Italia 1966
con Franco Nero, Loredana Nusciak, José Bódalo, Eduardo Fajardo
regia di Sergio Corbucci
Alla fine della Guerra di Secessione, Django, tirandosi dietro una bara, torna a casa sua, vicino al confine messicano. Lo spinge il desiderio di vendicare la morte della moglie per colpa del Maggiore Jackson. Con l’aiuto di una banda di ribelli messicani ruba l’oro di Jackson e, accecato dalla brama di denaro, dimentica il suo proposito di vendetta ma sconterà la sua colpa e porterà a termine la sua missione.
Sull’onda del successo della trilogia del dollaro di Sergio Leone, iniziata nel 1964, Corbucci rielabora la materia western in maniera piuttosto diversa dall’illustre predecessore. Se il western di Leone è una terra dura e scabra, dalla fotografia iperrealista, il western di Corbucci è fatto di fango, quello della strada del villaggio fino a quello delle sabbie mobili in cui finisce l’oro di Jackson.
L’atmosfera del film è sempre spettrale e sospesa a partire da quella bara che il protagonista si tira dietro in ogni dove. I toni più caldi della fotografia, i colori accessi e un po’ assurdi delle prostitute del saloon hanno un sapore quasi fellininano, più che derivare dal modello di Sergio Leone.
Notevole il gusto della composizione: d’impatto la macchina da presa che rotea in soggettiva durante la rissa al saloon e si segnala l’immagine finale nel cimitero di Tumbstone tra croci sbilenche e rami di alberi contorti, una sinfonia in marrone dove spicca il rosso del manico della pistola incastrata nei ghirigori di una croce di ferro.
Franco Nero è sicuramente un epigono di Clint Eastwood, e un tassello fondamentale in quella schiera di biondi dagli occhi di ghiaccio che partendo da Clint termina con Terence Hill: in Django c’è già la sottolineatura sonora delle scazzottate che diventerà il marchio di fabbrica del duo Bud Spencer e Terence Hill.
Non ci si può esimere dal confronto tra il Django originale del 1966 e l’omaggio tarantiniano di Django Unchained che (fortunatamente) sta spopolando al botteghino. Le due trame hanno ben poco in comune, Tarantino cita espressamente l’incipit che inquadra solo i passi del protagonista e l’arrivo in paese con la prostituta alla finestra. La tematica del razzismo invece è presente anche nel film del 1966 con la banda di Jackson che gira con inquietanti cappucci rossi, cambia l’oggetto dell’odio razziale: i messicani al posto dei neri.
Bello questo paragone con il Django di Tarantino :)
Scritto da: Roy | 20 febbraio 2013 a 18:07
se non era per Quentin, chi lo recuperava Django? ;)
Scritto da: ava | 25 febbraio 2013 a 19:23