Cinque storie più una cornice ambientate tra la fine del XIX secolo e un futuro post-apocalittico in cui i destini dei protagonisti sono saldamente legati tra loro, probabili reincarnazioni delle medesime persone.
Cloud Atlas non mi è piaciuto per niente, anche se credo che il libro da cui è tratto potrebbe essere una lettura interessante. Da un punto di vista stilistico non ho amato il modo approssimativo in cui si sono amalgamati i toni delle cinque storie: l’avventuroso viaggio per nave dell’avvocato, la romantica storia d’amore gay, l’inchiesta della giornalista d’assalto, la comica disavventura del vecchio editore rinchiuso in un ospizio contro la propria volontà, la drammatica esperienza di una replicante che scopre il destino dei suoi simili, la futuribile esistenza tribale su un pianeta Terra distrutto dalla nostra civiltà.
Il montaggio poteva essere anche interessante: quando si apre una parta da una storia si entra nell’altra ma il cambio di tono troppo repentino soprattutto quando si incrociava con la vicenda comica dei vecchi in fuga dall’ospizio poteva risultare irritante: nel mezzo di una risata ci si poteva ritrovare in un momento drammatico di un’altra vicenda.
La decisione di sviluppare in proprio le storie assegnate a ognuno dei tre registi ha probabilmente causato questa disomogenia.
A completare la sensazione straniante il trucco a cui sono stati sottoposti i protagonisti che sono sempre gli stessi in ogni storia e ricoprono anche ruoli minori. Se è interessante scoprire tutte le trasformazioni (alcune effettivamente impensabili) a cui sono stati sottoposti gli attori mentre scorrono i titoli di coda, il trucco pesante, i camei strampalati, anche se non riconosciuti creano una continua dissonanza che non permette di farsi coinvolgere dalla complessa connessione delle sei vicende.
Anche da un punto di vista scenografico non c’è nulla di originale, tutto è già visto, soprattutto nelle vicende futuribili i Wachowski li limitano a copiare di sana pianta da Star Wars a Blade Runner fino al loro stesso Matrix.
Infine ho trovato irritante il messaggio del film: c’è una sorta di predestinazione giansenista, i buoni si riconoscono da una strana voglia a forma di cometa mentre i cattivi sono grami per l’eternità, solo il personaggio di Tom Hanks riesce ad evolvere (forse più per disperazione che per amore) e a superare la cupidigia e la codardia che nei secoli ha attanagliato le sue altre identità.
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