Il regista è mancato oggi, 10 gennaio 2015
90 anni per un maestro del cinema italiano che ha praticato e reso grande un genere molto difficile, il cinema d’inchiesta.
Francesco Rosi nasce a Napoli il 15 novembre 1922. Vinto un concorso per il bambino più somigliante a Jackie Coogan (il bambino de Il monello di Chaplin poi Zio Fester ne La famiglia Addams) a tre anni Francesco Rosi e il padre avrebbero dovuto trasferirsi in America ma la madre si oppone al viaggio però il destino si limita a rimandare l’incontro di Francesco con la Settima Arte.
La guerra lo costringe ad interrompere gli studi di giurisprudenza e il giovane Rosi si ricicla come illustratore di libri per l’infanzia. Intanto collabora anche con Radio Napoli (prima stazione radiofonica del Sud Italia e fulcro della resistenza antifascista dopo il ‘43) dove crea contatti con giovani partenopei che lasceranno a loro volta il segno: Raffaele La Capria, Giuseppe Patroni Griffi, Aldo Giuffrè e anche Giorgio Napolitano.
Terminata la guerra si avvicina al mondo dello spettacolo; inizia come assistente di Ettore Giannini per l'allestimento romano de Il voto di Salvatore Di Giacomo.
Diventa aiuto regista di Luchino Visconti per La Terra Trema (1948) e Senso del 1954; intanto, sempre per Visconti, scrive la sceneggiatura di Bellissima. Gira alcune scene nel 1952 per Camicie rosse di Goffredo Alessandrini e nel 1956 è alla “direzione tecnica” del film diretto da Vittorio Gassman Kean: genio e sregolatezza; sempre come aiuto regista collabora con Matarazzo (Tormento), Antonioni (I Vinti), Monicelli (Proibito) e Luciano Emmer.
Nel 1958 il debutto come regista con La sfida un ottimo esordio con una vicenda ispirata a un fatto di cronaca. Se le tematiche sono già in nuce quelle che faranno grande il suo cinema, anche stilisticamente Rosi conferma la sua libertà e il suo spirito sperimentatore coniugando la lezione neorealista italiana al noir americano.
Il secondo film è I magliari del 1959 e non fu molto amato all’uscita in sala per la presenza di Alberto Sordi considerato troppo sopra le righe per un ruolo drammatico.
Con Salvatore Giuliano del 1962 il regista inaugura un nuovo genere per il cinema italiano, il film d’inchiesta. Questa prima opera del nuovo filone ripercorre la vicenda del brigante siciliano ricostruendo la sua vita attraverso flash back a partire dal ritrovamento del cadavere del bandito. La vicenda di Salvatore Giuliano diventa una scusa per raccontare la Sicilia e le connivenze tra politica banditismo e potere mafioso.
Nel 1963 è la volta de Le mani sulla città che indaga nello squallido mondo delle speculazioni edilizie. Leone d’oro al Festival di Venezia, il film non si limita a denunciare un dramma di un periodo storico ma è purtroppo ancora drammaticamente attuale rivelandosi così tragicamente profetico.
Nel 1964 Rosi si sposta in Spagna e con Il momento della verità vuole demolire l’epica della corrida (cfr il Dizionario dei film Mereghetti) ma il film si rivela debole e viene tacciato di calligrafismo.
Nel 1967 l'autore si concede una pausa di leggerezza e dirige una fiaba, quasi una rivisitazione di Cenerentola, con Sophia Loren e Omar Sharif: la pellicola si intitola C’era una volta e racconta l’amore tra una popolana e un principe spagnolo.
Nel 1970 il ritorno ai temi importanti, in questo caso l’antimilitarismo portando sul grande schermo Uomini contro tratto dal romanzo Un anno sull'altopiano di Emilio Lussu. A partire da questo film inizia la collaborazione fecondissima con Gian Maria Volonté che giganteggia nei seguenti Il caso Mattei (1972) e Lucky Luciano del 1973.
Nel 1975 Rosi indaga la strategia della tensione con Cadaveri eccellenti dal romanzo Il contesto (1971) di Sciascia. Il film scatena molte polemiche ma vince il David di Donatello, premio che Rosi riceve anche l’anno seguente per Cristo si è fermato a Eboli tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Levi, pellicola che vede nuovamente protagonista Gian Maria Volonté. Oltre al David il film vince anche il BAFTA come miglior film straniero.
Del 1981 è Tre fratelli: il film, ispirato a un racconto dell’autore russo Andrej Platonovic Platonov, analizza lo scontro tra la morente civiltà contadina e la vita di città e fa vincere al regista due David Di Donatello, per regia e sceneggiatura oltre che un Nastro d'Argento per la regia.
Nel 1984 la trasposizione de la Carmen di Bizet in un film che esalta il lato cruento del melodramma e vanta delle scenografie grandiose che lo pongono all’attenzione di molti premi europei.
Nel 1987 Rosi vorrebbe girare La tregua ma il suicidio dell’autore, Primo Levi lo fa desistere; il progetto sarà ripreso e portato a termine dieci anni dopo, nel 1997 diventando l’ultima pellicola girata da Francesco Rosi.
Ma prima ci sono ancora quattro lavori: Cronaca di una morte annunciata dall’omonimo testo di Gabriel García Márquez; Dimenticare Palermo del 1990, sempre nello stesso anno partecipa al documentario corale per i Mondiali di Calcio di Italia 90, 12 autori per 12 città in cui racconta la sua Napoli, che sarà protagonista anche del documentario del 1992 Diario napoletano.
Se la carriera cinematografica è finita nel 1997, gli anni duemila segnano un ritorno alla regia teatrale, con attenzione particolare alle opere di Eduardo De Filippo.
Il cinema lo ha insignito negli ultimi anni dell'Orso d'Oro alla carriera al Festival di Berlino (2008) e quest’anno del Leone d'Oro alla carriera al la Mostra del Cinema di Venezia.
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