Quando il 4 novembre 1979, gli studenti iraniani assaltano l’Ambasciata Usa a Teheran, sei impiegati riescono a sfuggire alla prigionia trovando rifugio presso l’ambasciatore canadese. L’esfiltratore della CIA Tony Mendez si inventa un piano rocambolesco per farli uscire dall’Iran: farli passare per una troupe cinematografica canadese in visita alla Repubblica Islamica per dei sopralluoghi relativi a un film di fantascienza intitolato Argo.
Alla sua terza regia Ben Affleck ricostruisce perfettamente le atmosfere di un film anni ‘70 con un grande lavoro di montaggio alternato che sottolinea gli inseguimenti mozzafiato e la suspense al cardiopalma e un grande lavoro sugli attori, a partire da sè stesso che disegna un eroe suo malgrado, costruito tutto in sottrazione.
Affleck non si limita a realizzare un solido thriller politico, approfondisce con filmati d’epoca e bozzetti (che vogliono riprendere la tematica della produzione filmica ma che mi hanno ricordato anche la Satrapi di Persepolis) gli eventi che hanno portato alla Rivoluzione Khomeinista e ai 444 giorni di prigionia nell’Ambasciata americana fornendo una rilettura della storia contemporanea in prospettiva che non fa sconti agli States e al suo coinvolgimento nelle manovre politiche occidentali che hanno portato al potere Reza Pahlavi.
La parte ambientata ad Hollywood è quella più divertente, racconta di un mondo cinico e guascone nel momento di peggior declino (la scritta Hollywood stracciata e cascante) ma che ha ancora la capacità di incantare (la trama del film raccontata alle guardie della rivoluzione) con un genere che in fondo ha permesso alla Mecca del cinema di risorgere grazie al successo planetario di Star Wars, epopea che ha costruito un mito di cui il regista, classe 1972, ha certamente vissuto tutto il fascino.
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