USA 2004 Malpaso Productions
con Clint Eastwood, Hilary Swank, Morgan Freeman
regia di Clint Eastwood
Frankie Dunn fa l’allenatore di pugili, con scarso successo perche’ nutre un forte istinto di protezione verso i suoi atleti, alle spalle ha una famiglia fallita (regolarmente gli tornano indietro le lettere inviate alla figlia lontana) e l’unica sua ragione di vita e’ la modesta palestra che manda avanti assieme a Scrap, un vecchio pugile di colore a cui lo sport e’ costato un occhio. Un giorno incontra Maggie Fitzgerald una ragazza che si e’ messa in testa di diventare professionista nonostante abbia gia’ piu’ di trent’anni e vuole farsi allenare da lui, Frankie inizialmente rifiuta ma poi rimane colpito dalla testardaggine della ragazza; inizia cosi’ un’ avventura sportiva e la ricostruzione di un affetto familiare.
Il vecchio leone Clint ci regala un’altra zampata delle sue con un finale in grado di scartavetrare il cuore, in un film che in realta’ non parla ne’ di boxe ne’ tanto meno di eutanasia (alla fine della storia uno dei tre protagonisti non potra’ sopravvivere se non grazie alle macchine e chiedera’ ad uno dei suoi amici di aiutarlo a morire) ma e’ paradigmatico di questa nostra societa’.
La boxe e’ l’unica possibilita’ di fuga da una realta’ squallida per la gente dei bassifondi, dove il rispetto di se stessi va strappato agli altri al prezzo del proprio dolore, ma oltre che una denuncia sociale per Eastwood il pugilato diventa il modo per ridefinire i termini del sogno americano: in questa societa’ che vuole tutto e subito senza sforzi, il regista osa spostare il limite da fatica e sudore alle lacrime e sangue di churchilliana memoria e sottolinea che dopo aver sputato l’anima non c’e’ la certezza di riuscire, ma solo il diritto ad avere un’occasione.
E quella battuta “comprati una casa senza il mutuo” che parrebbe solo il pretesto per mettere in scena la disgraziata famiglia di Maggie, ha un significato ben piu’ profondo se si pensa che ogni cittadino americano, per l’uso smodato del pagamento rateale, paga interessi altissimi limitando cosi’ il proprio potere d’acquisto.
La grandezza morale di Clint Eastwood e’ tale da permettergli di analizzare in maniera delicata, ma senza ipocrisia, il tema dell’accanimento terapeutico e l’assurdita’ del fanatismo religioso, portando in scena un uomo che da ventitre’ anni va a messa quotidianamente, ma con altrettanta frequenza indispettisce il parroco con i suoi dubbi sulla Trinita’ o l’Immacolata Concezione.
La regia e’ scabra, totalmente al servizio della storia. In scena ci sono tre mostri sacri come Clint Eastwood in un’interpretazione intensissima e Morgan Freeman voce narrante della vicenda e spalla ideale al burbero Frankie, personaggio di con quale crea gustosi siparietti di umanissima cattiveria. Poi c’e Hilary Swank, in stato di grazia come in Boys don’t cry, piu’ che la trasformazione fisica sono da segnalare le occhiate di sbieco che il suo personaggio lancia, nella parte finale del film, al suo allenatore: non lo perde di vista un attimo ed in questo modo materializza il legame che affettivo che si e’ creato tra i due.
Per quest’opera Eastwood ha scritto anche le musiche (il suo amore per il jazz e’ testimoniato anche da Bird il film che ha dedicato a Charlie Parker) ma i passaggi che piu’ mi hanno colpito, montati su intensi primi piani, hanno reminiscenze chapliniane.
Recensione pubblicata a suo tempo su ImpattoSonoro
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