Nel 1988 Aung San Suu Kyi, figlia del generale Aung San, martire della democrazia birmana, rientra in patria per accudire la madre morente. Fino a quel momento aveva condotto una vita tranquilla accanto al marito e ai due figli a Oxford. Nella Birmania stritolata dalla dittatura militare gli oppositori del regime si stringono attorno alla donna vedendo in lei un legame con il processo di democratizzazione auspicato dal padre ucciso nel 1947. Aung San Suu Kyi accetta di entrare nell’agone politico andando incontro a vessazioni terribili: non potendo fare di lei una nuova martire, i generali al potere la costringono agli arresti domiciliari nonostante avesse vinto le prime elezioni libere, impedendole di vedere anche il marito morente e tenendola per anni lontani dai figli.
Il film di Besson si apre con un padre che racconta una favola a una bambina, scopriremo poi che è l’ultimo gesto compiuto dal generale Aung San verso la figlia prima di essere ucciso. La scena ci dà però l’idea del taglio che Besson vuole dare al suo film, raccontare la vicenda di Aung San Suu Kyi come una sorta di melodramma amoroso incentrando tutta la vicenda sul legame intenso tra l’eroina birmana e il marito Michael Aris, interpretato degnamente da David Thewlis, il "potteriano" Remus Lupin. Il professore di Oxford si batterà con ogni mezzo per tenere accesa l’attenzione sulla moglie facendole conferire anche il meritatissimo premio Nobel per la Pace nel ‘91. Besson è estremamente misurato (insolitamente aggiungerei) nel racconto portando lo spettatore alla soglia della commozione ma non indulgendo mai al pietismo a cui pure si prestano molto momenti della vicenda umana di Ang Su Kyi.
Quello che mi colpisce è che, tenendo conto delle debite differenze, si potrebbe fare un parallelo con The Iron Lady: entrambi i biopic su due grandi donne politiche praticamente agli antipodi, non possono esimersi dal raccontare le vite sentimentali di due figure così diverse lasciando in secondo piano le scelte politiche: Suu viene mostrata incidentalmente leggere gli scritti di Ghandi a cui si è ispirata la sua lotta politica che tutti speriamo essersi conclusa ieri con il seggio guadagnato nelle elezioni avvenute appunto il 1 aprile 2012.
The Lady resta comunque un film solido un biopic molto classico che ha il merito di farci conoscere meglio la figura della leader dell’opposizione birmana, delude pero’ il finale che condensa la tragica rivolta dei monaci buddisti del 2007 in una pacifica camminata verso la casa di San Suu kyi con lei che appare dietro il cancello in una luce quasi divinatoria, purtroppo sappiamo molto bene che alla protesta dei monaci seguì una violenta repressione solo la vittoria di ieri, se non sarà l’ennesimo bluff dei militari, puo’ rendere accettabile quel lieto fine posticcio.
Ecco un film che vorrei proprio riuscire a vedere, specie perchè - come sottolinei tu - sono curioso di conoscere un pò meglio la figura di Aung San Suu Kyi.
Scritto da: Rear Window | 03 aprile 2012 a 11:27