Il 1969 è un anno di forti tensione in Italia: diverse bombe esplodono a scopo dimostrativo. La Polizia Politica di Milano guidata dal Commissario Luigi Calabresi segue la pista anarchica e la strada di Calabresi incrocia spesso quella di Giuseppe Pinelli, ferroviere quarantenne a capo del movimento anarchico meneghino. I due uomini si rispettano, pur restando su posizioni profondamente diverse ma tutto cambia il pomeriggio del 12 dicembre 1969 quando la bomba che esplode nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana uccide 17 persone e apre una scia di sangue che si concluderà oltre un decennio dopo.
Pare che non si possa parlare di questo film senza commentarne il titolo, quella parola “romanzo” applicata a un fatto realmente accaduto 43 anni fa che in una qualsiasi altra nazione avrebbe già avuto una sua codificazione processuale e storica mentre da noi resta una pagina incompiuta (la prima di tante) su cui si può solo costruire un romanzo.
Le teorie portate sullo schermo da Marco Tullio Giordana ovviamente hanno subito dato adito a recriminazioni di vario genere, resta il fatto che il regista riesce a costruire un romanzo avvincente, quei 130 minuti sono praticamente volati per l’abilità narrativa e sicuramente per la voglia di sapere e di capire di più quella strage che ci ha segnato profondamente.
Ritornano alla parola romanzo, mi è piaciuta molto la romanzatura lombrosiana dei personaggi i tre protagonisti destinati al martirio sono belli e portatori di valori: resta impresso lo sguardo buono e pulito del Pinelli di Favino, la postura eretta che corrisponde alla drittura morale di Calabresi di un Mastandrea che sorprende in un ruolo insolitamente compassato che valorizza la sua sottrazione recitativa e poi c’è l’Aldo Moro di Gifuni, tormentato da una politica che non cerca più il dignitoso compromesso ma il più bieco intrallazzo. Dietro i tre eroi si muovono le mogli di Calabresi e Pinelli e due caratteristi del cinema italiano che a me piacciono molto, Thomas Trabacchi nel ruolo del giornalista Marco Nozza e Antonio Pennarella, l’untuoso maresciallo Panessa a cui spettava il comando nel momento della caduta di Pinelli. Mi ha colpito la bellezza folle della faccia dei terroristi, l’imbiancato Giorgio Marchesi che interpretava Franco Freda mi ha ricordato il Marlon Brando de I giovani leoni. Dietro a questi personaggi che “ci mettono la faccia” arrivano i volti disgustosamente lombrosiani dei politicanti, dei servizi segreti, degli alti gradi della polizia e il film è riuscito a mettere in scena tutta la bruttura fisica e morale di chi da oltre 40 anni governa (e contemporaneamente) trama alle spalle di questa nazione.
L'ho recensito anche io. Sono sostanzialmente d'accordo con la tua analisi. Peraltro ho appena letto che ha ricevuto ben 16 candidature ai David di Donatello!
Scritto da: Rear Window | 12 aprile 2012 a 21:15
Come ho scritto da me, l'ho trovato un bel film. a parte forse l'unico neo di una ricostruzione finale dei fatti un pò semplicistica (quella spiegata da Calabresi nell'ultima scena prima dell'epilogo del film) ho apprezzato il film sia per come tratta in maniera organica la moltitudine di argomenti e temi che caratterizzarono la vicenda della strage di piazza fontana (il ruolo di moro, gladio, il golpe borghese, la strategia della tensione) che per la dimensione umana con cui sono stati rappresentati pinelli e calabresi (merito anche dei due interpreti). Un saluto!
Scritto da: MonsieurVerdoux | 15 luglio 2012 a 14:48