Nel 1957 lo scrittore Jacques Cormery torna in Algeria, dove era nato quarantatré anni prima, per una contestata conferenza sulla soluzione pacifica del conflitto nella colonia francese e intanto va a trovare la madre che non vede da tempo. La permanenza nella casa materna fa riaffiorare i ricordi dell’infanzia quando Jacques era un bambino povero, legatissimo alla madre, vedova di un caduto della prima guerra mondiale; insieme allo zio Etienne, Jacques e la madre formavano una famiglia retta con pugno d’acciaio dalla nonna.
L’omonima opera incompiuta di Albert Camus, dai risvolti autobiografici pubblicata postuma, a cura della figlia nel 1994, offre l’occasione a Gianni Amelio per tornare su uno dei temi più cari alla teoretica dell’autore, quello dell’infanzia. C’e’ estrema partecipazione nelle parti ambientate nel 1924, quando Jacques ha dieci anni e inizia a porsi alcune domande sulla propria condizione di bambino povero e orfano di padre. Destinato dalla nonna al duro lavoro insieme allo zio Etienne, Jacques può’ permettersi di continuare la scuola grazie all’interessamento del maestro che gli fa destinare una borsa di studio. Se il maestro Bernard è una figura paterna sostitutiva, tutto il film ruota attorno al rapporto tra il bambino e le due donne che hanno segnato la sua infanzia: la nonna severa che non esita a frustarlo e la madre dolcissima che lo appoggia sempre, soprattutto il giorno in cui il ragazzino decide di rifiutare l’autorità sottraendosi alla punizione imposta dalla nonna.
La guerra d’Algeria viene evocata anche nelle sequenze del ’24 proprio nell’assenza del popolo algerino: la vita di Jacques e i suoi amici si svolge senza accorgersi degli arabi (la ragazzina che lava le scale) se non per prenderli in giro (la liberazione dei cani randagi). Il conflitto tra i coloni e gli autoctoni è rappresentato dalla rissa tra Jacques e Hamoud, il compagno di scuola arabo, quando i due uomini si ritrovano nel ‘57, nonostante Hamoud chieda un favore a Jacques, il ricordo degli anni d’infanzia è opposto: se per lo scrittore il compagno di scuola era un amico, quest’ultimo ribadisce una mancanza di stima (in quanto oppresso) che continua anche nel ‘57.
Se il piccolo Jacques può accontetarsi di essere il figlio di un soldato morto per la patria, l’intellettuale, che ha perso il senso retorico della parola patria, ha bisogno di ritrovare l’uomo e infatti la pellicola si apre con Jacques adulto che cerca la tomba del padre nel cimitero di guerra e termina con la brevissima comparsa del genitore sullo schermo nel flashback della nascita di Jacques.
Maya Sansa è l'unica interprete italiana della pellicola che dovrebbe vantare un doppiaggio di tutto rispetto (PierFrancesco Favino per Cormery adulto, Kim Rossi Stuart per lo zio Etienne) ma sinceramente non ho riconosciuto neppure una voce e non saprei se interpretarlo come un bene o come un difetto; detto questo possiamo concludere che Il primo uomo è il viaggio dentro la memoria personale e collettiva di un individuo, che Amelio racconta con estrema grazia e raffinatezza.
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