Italia 1933,
con Maria Denis, Marcello Spada, Lina Gennari,
regia di Raffaello Matarazzo
Le avventure corali di un treno popolare invenzione del regime fascista che proponeva tariffe particolari per le gite fuoriporta nelle festivita’. Il viaggio è da Roma ad Orvieto e l’attenzione si concentra soprattutto su Lina che va in gita con il collega Giovanni, spasimante non ricambiato. I due sul treno fanno amicizia con l’aitante Carlo che non ha problemi a far breccia nel cuore della ragazza..
Strano e misconosciuto oggetto filmico che segna il debutto nella regia del ventitreenne Raffaello Matarazzo. Dovrebbe essere un film di propaganda per l’iniziativa del treno popolare ma la retorica resta in secondo piano affidata solo alle riprese della sferragliante locomotiva marchiata dal fascio littorio.
Essendo girata tutta in esterni la pellicola viene considerata a torto un’antesignana del neorealismo, ma non c’e’ nulla di meno realistico delle riprese di Treno Popolare: la scelta dei posti alla partenza da Roma e la corsa verso la funicolare che porta alla rocca di Orvieto, scandite dalle musiche di Nino Rota, hanno il ritmo di una coreografia e anche la scena della siesta pomeridiana con i gitanti addormentati in pose plastiche ha ben poco di vero. Il giovane regista sembra ispirarsi ai film delle avanguardie degli anni 20 dove i cineasti filmavano le metropoli che crescevano a vista d’occhio. Il progresso per Matarazzo si limita solo alle riprese dei binari e al posto dei grattacieli ci sono le riprese del celeberrimo Duomo di Orvieto o del Pozzo di San Patrizio.
Sul treno è presente ogni “tipo” umano dal sussiegoso professore solitario, alla famiglia numerosa, agli antesignani dei vitelloni fino alla ragazza leggera che si accompagna a un uomo sposato smascherato dalla vecchia moglie gelosa. Un bozzettismo che fa sfoggio di primi piani degni della cinematografia sovietica e che ci regala una delle scene sperimentali più intriganti del nosto cinema: un uomo semi addormentato che cade verso la telecamera mentre sbadiglia e il primo piano della sua bocca spalancata si trasforma nella galleria ferroviaria.
Non mancano dettagli di mani o gambe che si sfiorano a raccontare storie d’amore nascenti o proibite. I dialoghi son ridotti all’osso ma va ricordato che il primo film sonoro italiano è di soli tre anni prima (La Canzone dell’amore, 1930)
Reminiscenze del cinema americano sono presenti nella rappresentazione dei protagonisti: Carlo è un fusto impomatato come Rodolfo Valentino mentre il povero Giovanni indossa una paglietta che ricorda Ridolini. Lina offre l’immagine di una ragazza elegante e sportiva che può competere con quella della smart girl delle commedie americane.
Nonostante la voglia di sperimentare il film presenta già in nuce i temi che faranno passare Matarazzo alla Storia del Cinema, la donna perduta che deve scontare la colpa: la povera Maria diciannovenne sventata in gita con l’uomo sposato scoperto dalla moglie la cui disavventura diventa immediatamente il pettegolezzo dell’intero convoglio, punteggia con la sua presenza solitaria ed affranta i momenti di svago dei gitanti e solo dopo aver penato per l’intera giornata arriva il riscatto: nel viaggio di ritorno farà amicizia con Giovanni ormai arreso all’amore nascente tra Lina e Carlo.
Interessante analisi. Io di Matarazzo ho visto soltanto il mitico "Catene" con Amadeo Nazzari, di molti anni successivo a questo.
Scritto da: Rear Window | 19 marzo 2012 a 19:26
È un debutto inaspettato per Matarazzo, infatti ero convinta che lo avesse diretto camerini...
Scritto da: Ava | 20 marzo 2012 a 12:45