Adriano, il nuovo arrivato facile agli scatti di violenza, suscita l’attenzione degli anziani della sezione, Mazinga, Cobra e Negro che cercano di introdurlo ai valori del corpo della Celere, una fratellanza che va oltre il lavoro, superando anche i legami familiari; ma quando il codice interno del gruppo si scontra definitivamente con le leggi dello stato il giovane celerino si vedra’ costretto a fare una scelta decisiva.
Stefano Sollima debutta sul grande schermo dopo il successo di Romanzo Criminale La serie con una storia (ispirata al romanzo omonimo di Carlo Bonini) che potrebbe essere speculare a quella del progetto televisivo. Ancora una vicenda di amicizia e di fratellanza violenta; stavolta protagonisti non sono i componenti di una banda malavitosa, ma un gruppo di celerini, rappresentati nell’atto del loro dovere e nello spaccato della vita quotidiana. Quello della Celere non e’ un corpo di polizia molto amato, neppure all’interno delle stesse forze di Stato, sono la prima linea dello stato nelle situazioni piu’ incresciose, dalla vigilanza allo stadio allo sfratto coatto.
Acab non difende la categoria ma ha il coraggio di mettere in scena luci ed ombre. Da sempre film e serial tv ci raccontano che il punto di contatto tra organi di polizia e malavita avviene in una zona grigia dove i confini si sfumano e i mezzi usati sono gli stessi da una parte e dall’altra. Sollima analizza questa situazione ma non la usa per giustificare il comportamento dei suoi protagonisti su cui aleggia il fantasma del pestaggio alla Diaz al G8 del 2001 che trovera’ un amaramente ironico contrappasso nel finale aperto su un inizio di guerriglia urbana che si svolge in Piazzale Diaz a Roma. Non c’è redenzione per i protagonisti in Acab come non non c’e’ salvezza per la nostra società: facendo riferimento a reali fatti di cronaca del 2007, dalla morte dell’Ispettore Filippo Raciti, all’assurdo sparo all’autogrill al tifoso Gabriele Sandri, passando per l’aggressione mortale a Giovanna Reggiani da parte di un rumeno, il film ci restituisce la visione di un paese rabbioso che fa della violenza un linguaggio preferenziale.