Il biopic che Clint Eastwood gira su J.Edgar Hoover, personaggio controverso della storia americana, fondatore dell’FBI e direttore del Bureau fino alla sua morte nel ‘72 non nasconde le molte ombre di un disadattato succube della madre ma dalla volonta’ di ferro che seppe sfruttare ogni situazione a proprio vantaggio, o meglio a vantaggio della propria creatura, l’organizzazione investigativa che rese federale all’inizo degli anni 30 sfruttando il cordoglio per la morte del piccolo Lindy, il figlio del celebre aviatore Charles Lindbergh, ucciso dopo essere stato rapito a scopo di riscatto.
Il film viene accusato di sorvolare su alcuni lati oscuri, ad esempio i rapporti di Hoover con la mafia, a parte che il soggetto e’ davvero bigger than life e la pellicola dura circa 140 minuti, queste critiche potrebbero essere rintuzzate invitando a prestare attenzione al titolo, J. Edgar il nome di battesimo del protagonista, quindi la scelta di indagare sugli aspetti piu’ personali della figura di Hoover, di cui Eastwood non si fa scrupolo di mettere in mostra la doppiezza omofoba essendo innamorato del suo braccio destro Tolson, e la storia d’amore assume sempre maggiore importanza nella parte finale del film che culmina nella descrizione della camera da letto personale di J.Edgar in cui viene trovato morto. Se i saloni deserti di Xanadu rappresentavano il vuoto della vita del Cittadino Kane, quella camera raffinata piena di oggetti d’arte getta una luce pietosa su un uomo che si e’ sempre sforzato, sotto l’assillo di una madre virago di migliorarsi: l’attenzione per l’abbigliamento la scelta del secondo nome piu’ altisonante del banale John iniziale, il dominio delle balbuzie..
I comprimari che attorniano la vita di Hoover sono ben delineati e io sono rimasta affascinata dalla figura un po’ misteriosa di Helen Gandy, la segretaria che dopo aver rifiutato di sposarlo ne diventa la fedele vestale, oltre alla morte: se mi e’ chiaro il legame tra la madre e J. Edgar, il sentimento tra lui e Tolson, la scelta di restargli accanto da parte di questa donna mi risulta meno comprensibile.
Se il titolo denuncia un approccio intimo alla figura di Hoover non vuol dire che il film sia intimista, lo spaccato storico c’e’ e come sempre a Clint non interessa la ricostruzione storica, per quanto filologicamente perfetta nella scenografia e nei costumi. Riflettono pienamente i nostri tempi l’ossessione per il nemico che spinge a porre in secondo piano i diritti civili garantiti rispetto al bene superiore della nazione, la capacita’ di manipolare l’opinione pubblica ottenendo finanziamenti e poteri attraverso l’uso della pubblicita’ indiretta della strumentalizzazione del caso Lindbergh ed e’ la quarta volta che Eastwood fa del rapimento di un bambino il motore drammatico di un suo film, da Un mondo perfetto a Mystic River per culminare in Changeling. Hoover e’ anche un grande manipolatore dei media, crea il mito dei G-man e durante la visione riflettevo come nella mia mente Hoover fosse tra i cattivi mentre l’FBI tra i buoni (o per lo meno fosse sermpe meglio della CIA!) grazie ai tanti serial che vedono il Bureau e i suoi collaboratori come indiscussi protagonisti.
Indubbiamente la lettura e’ anche transnazionale: i maneggi di Hoover fanno pensare al nostrano Andreotti che si limitava solo ad alludere ai suoi archivi segreti per smorzare ogni oppositore e anche la frase che conclude la biografia pensata da Hoover, l’amore che sconfigge sempre l’odio e’ stato il cavallo di battaglia di Berlusconi dopo l’attentato con la statuetta del Duomo.
A sottolineare la sistematica volonta’ di Hoover di plasmare la storia a suo piacimento c’e’ l’escamotage stilistico di raccontare la vicenda del protagonista come se fosse lui a dettare le sue memorie a una serie di agenti che Hoover vuole sempre piu’ fidati ed il meno critici possibili verso la sua verita’ il passo si intuisce quando l’agente Smith fa una domanda che rischia di far crollare il castello di carte di Hoover: l’uomo si blocca un attimo prima di rispondere. Tutta la pellicola e’ un progressivo scollamento tra la visione personale del protagonista e la realtà, nel continuo passaggio dai flashback al presente, fino allo scontro ultimo con Tolson in cui l’uomo getta brutalmente in faccia la verita’ a Hoover: tutto ruota attorno alla menzogna e lla manipolazione, anche il trucco forse troppo pesante ma quanto sono inquietanti le lenti a contatto scure che “accecano” lo sguardo ceruleo di Leonardo di Caprio!
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Scritto da: copywriter | 19 gennaio 2012 a 16:27
Però il trucco di Tolson da anziano era insostenibile eh?
Scritto da: Alessandra | 20 gennaio 2012 a 21:07
nun se poteva gaurda', ale ;)
Scritto da: ava | 23 gennaio 2012 a 20:04