Un gruppo di scimpanze’, che vive allo stato brado nella foresta, viene catturato per essere portato in un laboratorio a San Francisco dove verra’ utilizzato per sperimentare nuovi farmaci contro l’alzheimer. Una femmina risponde in maniera eccezionale alla cura ma il giorno della presentazione del prodotto agli azionisti, l’animale diventa particolarmente aggressivo. Solo dopo l’eliminizione del gruppo si scoprira’ che la rabbia della scimmia non era una conseguenza del farmaco ma nasceva dall’istinto di protezione verso il suo piccolo nato all’insaputa dei veterinari che la controllavano. Will Rodman, lo scienziato che portava avanti la ricerca, si ritrova ad occuparsi del piccolo scimpanze’ che fara’ la gioia del vecchio padre malato di alzheimer e si accorge ben presto che il cucciolo ha assorbito per via fetale i medicinali somministrati alla madre sviluppando in maniera esponenziale il proprio quoziente intellettivo. Dopo alcuni anni Cesare, per difendere l’amato padrone, aggredisce il vicino di casa e finisce in un centro di accoglienza per primati, qui lo scimpanze’, che in virtu’ della sua intelligenza si poneva gia’ delle domande sulla propria natura, si vede costretto a scegliere tra il legame con gli uomini o l’appartenenza alla propria specie..
Pur essendo un buon film di genere dagli ineccepibili effetti speciali, L’alba del pianeta delle scimmie ha il sapore dell’occasione mancata perche’ la storia e’ estremamente originale ed interessante e se tutte le parti fossero state sviluppate con la medesima attenzione ci saremmo trovati davanti ad un capolavoro, o quasi. Se la presa di coscienza di se’ da parte di Cesare e’ seguita con cura, altrettanto non si puo’ dire del personaggio di Will, lo scienziato che suo malgrado si trova a fare da padre a Cesare. Non vengono analizzati i conflitti del legame con una creatura a cui lo lega un rapporto da una parte affettivo per la convivenza e dall’altra di sfruttamento visto che appartiene alla razza che viviseziona giornalmente per i suoi esperimenti; ne’ il fidanzamento con la bella veterinaria dello zoo introduce un dibattito sul diverso modo con cui rapportarsi agli animali. Attenzione, non voglio dire che questo film dovesse essere l’occasione per riflettere sulla cattivita’ e sulla vivisezione, ma piuttosto rileggere stilemi tipici dei film di mostri della Warner anni ‘30 perche’ e’ indubbio che il legame conflittuale tra Cesare il suo creatore faccia pensare al mito di Frankentein. Di certo la figura di Will Rodman avrebbe meritato maggiore cesellatura visto che la trama si evolve anche grazie a un potenziamento del farmaco che causera’ un contagio mortale tra gli esseri umani, tema rimasto un po’ in sordina ma che avra’ certamente spazio nel probabilissimo secondo capitolo, visti gli ottimi incassi. L’unico modello a cui sembra rifarsi il regista e’ The elephant man nella presa di coscienza della propria umanita’ da parte del "mostro" e la visita notturna del guardiano con l’amico e le due ragazze da broccolare cita espressamente una scena del capolavoro lynchiano, come anche il NO urlato da Cesare: l’autodeterminazione passa sempre attraverso la ribellione, quantomeno vocale.
Il regista, Rupert Wyatt, sta molto attento a non cadere nel citazionismo del cinema legato alle scimmie o forse lo fa in una maniera estremamente sofisticata: quando Buck, il gorilla luogotenente di Cesare si lancia sull’elicottero per salvare il suo capo e’ impossibile non pensare a una rivincita metacinematografica di King Kong e tutte le volte che le scimmie maneggiano un oggetto “tecnologico” in particolare il taser del guardiano bastardo, desideri fortemente che lo lancino in alto in omaggio a 2001, Odissea nello spazio: la citazione non piu’ espressa ma solo evocata.
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