TinTin acquista il modellino di un veliero ad un mercatino e non ha quasi il tempo di concludere la trattativa che due diversi acquirenti si offrono di ricomprarglielo, ma l’acuto reporter non accetta l’offerta. Ben presto il modellino gli viene rubato ma il segreto che la nave custodiva con cura rimane fortuitamente a casa del giornalista. Tornato ad avvisare TinTin del pericolo che corre, uno dei due acquirenti del modellino muore riuscendo pero’ a lasciare un indizio fondamentale per il fiuto del giornalista che si imbarca in una fantastica avventura..
La leggenda vuole che all’uscita del primo Indiana Jones a Spielberg fosse fatta notare la somiglianza tra le avventure del suo spericolato archeologo e quelle di TinTin, il protagonista dei fumetti di Herge’. Non sapendo nulla del lavoro del fumettista belga Spielberg si incuriosi’ e finì per appassionarsi alle avventure del giovane reporter fino a decidere di portarlo sul grande schermo in collaborazione con Peter Jackson che ora produce ma in futuro dirigera' i due prossimi episodi.
Il segreto dell’unicorno paradossalmente lascia un po’ in secondo piano la figura di TinTin concentrandosi di piu’ sulla genesi del rapporto con il suo compagno di avventure, il capitano Haddock e gran parte del fiuto del celebre reporter nasce dal naso del fedele terrier Milou e infatti molte inquadrature sono ad altezza di cane, soprattutto quella iniziale nel mercato che si apre con il reporter che si fa fare un ritratto e quando ci viene mostrato il disegno sara’ il volto del TinTin dei fumetti di Herge’. Pagato il tributo al padre del protagonista, Spielberg imbastisce una storia che cresce piano piano e si fa sempre piu’ avventurosa e rocambolesca con citazioni dei precedenti lavori di Spielberg: il ciuffo di TinTin che fende l’onda come la pinna de Lo squalo, il vilain interpretato da un irriconoscibile Daniel Craig che ricorda un po’ le sembianze del regista ed infine le pergamene che svolazzano come la piuma di Forrest Gump, il capolavoro di Zemeckis che per primo si avventuro’ nel campo della performance capture con Polar Express.
All’inizio del film mi sono chiesta perche’ complicarsi la vita “cartonizzando” attori veri quando non c’è la necessita’ di far convivere personaggi reali e fantastici, la risposta arriva nel corso della pellicola quando si capisce che solo questa tecnica permette inquadrature cosi’ ardite e scene rocambolesche (superlativo il combattimento con le due gru portuali) da cui i protagonisti possono uscire senza un graffio.
Vedere il film in IMAX, poi, offre una profondita’ e luminosita’ delle immagini notevolissime e finalmente mi ha fatto capire le potenzialita’ del 3D, una tecnologia che trovavo ripetitiva e banale nella composizione dell’immagine che puntava solo sulla sensazione di ricevere in faccia qualcosa scagliato dallo schermo. Il lavoro di Spielberg non utilizza mai questo scontato giochino ma compone le inquadrature in raffinatissimi giochi di specchi, vetri, lenti, riflessi sull’acqua, in una fantasmagorica esperienza visiva. Forse un film dove la tecnica prevale sul cuore ma sicuramente una bella storia che (di)mostra nuove potenzialita’ raffinate ed inesplorate della tecnologia.
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