La vita solitaria di Luca Bertacci, cameriere al Bingo, tra le solite angherie dei colleghi, le difficolta' amorose e l’eccezionalita’ dell’annuncio dell’imminente sbarco degli extraterrestri.
La fantascienza, si sa, e’ il genere cinematografico piu’ filosofico , una lente che allontana i problemi contingenti per darne una visione d’insieme. Gianni Pacinotti, passa dal fumetto (dov’era noto con il nome di Gipi) al lungometraggio portando sul grande schermo la graphic novel di Giacomo Monti, Nessuno mi farà del male e attraverso l’attesa (non molto sentita, in verita') e il contatto con i marziani mette alla berlina l’alienazione e gli orrori del mondo contemporaneo italiano. Le brutture architettoniche, l’ostentazione del richiamo sessuale, i furbi che sfruttano l’attrazione e le paure suscitate dall’imminente sbarco alieno incorniciano delle vicende personali ancora piu’ sordide, dove l’ossessione per il sesso e’ sempre al centro delle fantasie, dal cameriere che filma le tette e le cosce delle avventrici del bingo, agli amorazzi della vicina di Luca, da cui il ragazzo e’ attratto. Il protagonista, magistralmente interpretato da Gabriele Spinelli, e’ uno sfigato da manuale, senza amici e senza una vita amorosa, bloccato dall’abbandono della madre che se n’e' andata lasciandolo con il padre quando lui era ancora bambino. La scoperta della verita’ sull’abbandono materno gli permettera’ di ricominciare a vivere, rimanendo l’ultimo terrestre, mentre tutti gli altri hanno bisogno dell’incontro con gli alieni che sara’ speculare alla loro esperienza di vita, un contrappasso extraterrestre, non sempre apprezzato: se per Luca e suo padre e’ necessaria l’eccezionalita’ della presenza femminile marziana per ricominciare ad apprezzare le gioie’ piu’ semplici e banali della vita famigliare, queste non saranno sufficienti a distogliere il padre dal vizio dell’alcol.
La bruttura estetica e morale si riflette anche nei comportamenti: qualsiasi cosa, anche la piu’ orrenda viene sempre minimizzata e giustificata: “..ma cosa vuoi che sia.. e’ successo’ trent’anni fa.. era solo un trans..” e questa acquiescenza, l’accettazione totale mi pare il malessere piu’ grave del nostro Paese.
All’interesse dello script si aggiunge la bravura degli attori, caratteristi le cui facce non sono mai state sfruttate cosi’ bene, e poi e’ notevole il gusto per l’immagine del regista, il cui taglio e’ cosi’ poco italiano e soprattutto per nulla televisivo.
Avrei tanto voluto vederlo perché mi sembrava un esempio di cinema moderno italiano un po' diverso dai soliti cliché... ma in quanto tale, appunto, dalle mie parti è stato snobbato.
Lo recupererò!
Scritto da: Il Bollalmanacco di Cinema | 03 ottobre 2011 a 16:48
capisco benissimo il problema del cinefilo di provincia, appartenendo alla categoria, ultimamente sfrutto i weekend nelle metropoli del vecchio triangolo industriale per vedere pellicole che altrimenti qua arrivano il di' del mai :)
Scritto da: ava | 04 ottobre 2011 a 13:54