Otto puntate per raccontare l’ascesa americana dei Kennedy: doveva essere una serie scandalosa in grado di smontare il mito della celebre famiglia ma l’obiettivo mi pare fallito, almeno per chi scrive che non ha mai subito piu’ di tanto il fascino di JFK, essendo una marilyniana di ferro.
Lo scalpore riguarda piu’ gli abbandoni e le prese di distanza di chi ha lavorato al progetto e la travagliata gestazione inficia in parte il prodotto finito. Le prime due puntate sono dedicate interamente alla campagna presidenziale del 1960 e ogni occasione e’ buona perche’ a turno i componenti del cast assumano una posa sognante e parta il flashback. Scopriamo cosi’ le ambizioni frustrate del padre Joe, ambasciatore in Inghilterra agli esordi della II Guerra Mondiale: la sua posizione non interventista e passibile di interpretazioni filonaziste gli preclude ogni possibilita’ di candidarsi alla Casa Bianca. L’intrepido Joe allora punta tutto sul primogenito, Joe Jr, che morira’ durante una missione bellica. Le ambizioni ricadono sul secondogenito, Jack, tornato come eroe dalla guerra sul Pacifico. Jack avrebbe altri desideri per il suo futuro, come Bobby, che il padre incarica di coprire tenacemente le spalle al fratello ma non e’ facile dire di no a Joe Kennedy e cosi’ la storia fara' il suo corso.
Cambio di passo per gli episodi centrali dal 3 al 6 che sono i piu’ interessanti perche’ raccontano in maniera minuziosa la politica interna ed estera del governo Kennedy: l’intervento televisivo con cui per la prima volta un presidente ammette l’errore di valutazione per la Baia dei Porci, la difesa dei diritti civili con il primo nero che entra in un'universita’ del Mississippi e il superamento della crisi con i sovietici che ha sventato un attacco nucleare, grazie anche al supporto di Krushev.
Sul piano umano i due fratelli riescono a liberarsi dell’influenza invadente del padre che finira’ su una sedia a rotelle in seguito ad un colpo apoplettico, JFK non riesce invece a liberarsi dal libertinaggio rischiando di perdere Jackie. La bellissima coppia presidenziale finisce schiava di non meglio precisate punture di tipo anfetaminico che permettono a lui di sopportare i terribili dolori alla schiena e a lei di svolgere un’instancabile attivita’ di first lady, ma entrambi riescono ad uscire da questo tunnel.
Conclusione frettolosa con le ultime due puntate, la settima ripercorre l’omicidio di Dallas, c’e’ una brevissima parentesi dedicata a Marilyn che vediamo interagire con Bobby che riuscirebbe anche a resistere al suo fascino (giusto perche’ il serial doveva distruggere i Kennedy!). La sensazione e’ che la serie tenti di angelicare Bobby a discapito di Jack, mostrandolo in un ruolo decisivo per molti problemi affrontati dall’amministrazione del fratello e spiega la sua discesa in campo come una risposta al senso di colpa per non aver saputo prevenire l’omicidio di JFK.
Chiusura su Joe e Rose, sopravvissuti alla morte di tre dei sette figli e alla lobotomia di una figlia con lui che ricorda il giorno dell’insediamento quando JFK gli riconosce di essere il segreto del successo della famiglia. Tesi non del tutto errata perche’ se non fosse stata per la caparbieta’ di Joseph Kennedy, capace anche di sporcarsi le mani il mito della grande dinastia americana non ci sarebbe stato.
The Kennedys e’ un prodotto altalenante, interessante come approfondimento storico che si segnala per la bravura del cast, soprattutto per i ruoli principali (non possiamo purtroppo dire lo stesso per Marilyn) le somiglianze sono impressionanti e su tutti svetta un Greg Kinnear che a volte riesce ad essere davvero identico a John Fitzgerald Kennedy.
Commenti