Thor, l’impetuoso figlio di Odino, sta per ereditare il trono paterno ma la sua boria irrita il divino genitore a tal punto che questi lo scaglia in esilio sulla Terra perche’ possa imparare l’umilta’. Mentre Thor si ritrova sul nostro pianeta a vivere come un comune mortale non riuscendo piu’ a governare il suo martello ma conoscendo l’amore grazie alla bella astrofisica Jane Foster, su Asgart il fratellastro Loki approfitta del sonno di Odino per impossessarsi del regno.
Era interessante vedere alla prova del blockbuster tratto dai Comics Marvel il britannico Kenneth Branagh, noto per le sue trasposizioni filmiche delle opere shakespeariane. Il registra supera la prova brillantemente confezionando una bella pellicola di puro intrattenimento a cui danno spessore la scenografia e i costumi che evidenziano come Branagh abbia voluto omaggiare il cinema classico hollywoodiano ripercorrendo i grandi classici del genere fantastico: il regno di Asgart rimanda alle architetture di Metropolis pur costruendo immaginifici interni dal sapore deco’ che riprendono il gusto fantasioso delle scenografie del cinema classico; dei fidi compagni di avventura di Thor uno vanta una capigliatura boccoluta pari solo a quella del Leone de Il mago di Oz e l’altro sfoggia due baffetti alla Errol Flynn sottolineati da una battuta sull’arrivo in citta’ di Sheena, Jackie Chan e Robin Hood mentre per i cattivi e’ ormai imprescindibile il modello jacksoniano degli Orchetti della saga de Il signore degli anelli.
Il film e’ sorretto da una buona sceneggiatura che sa punteggiare la trama di frecciate ironiche al momento giusto, lasciando sullo sfondo il conflitto da tragedia elisabettiana tra i due eredi al trono pur dando ai due antagonisti un certo spessore. La cosa piu’ shakespearaina e’ forse il finale romantico a cavallo di due mondi inesorabilmente (?) separati che ricorda la celebre battuta dell’Amleto: Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia.
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